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 2014  agosto 24 Domenica calendario

IL PETROLIO VA IN CONTROTENDENZA LA TENSIONE SALE, IL PREZZO SCENDE

C’è una stranezza nel prezzo del petrolio. In passato, qualunque crisi politica in Medio Oriente o in Russia provocava una balzo del greggio. Ma adesso sono in guerra quasi tutti i nostri vicini fornitori di energia, dalla Libia all’Iraq, e si combatte in Russia e Ucraina dove passano i gasdotti. Eppure il petrolio si deprezza, e anche in fretta. Il Wti americano fra giugno e luglio oscillava sui 105 dollari al barile, ma ad agosto, mentre le guerre s’incancrenivano, è crollato a 93,56. Il Brent europeo a fine giugno era a 115 dollari ma venerdì quotava appena 102,63.
Certo i nuovi idrocarburi da scisto fanno concorrenza alle fonti tradizionali, ma questa è una tendenza epocale, non ha effetto da un mese all’altro. Proprio nell’estate delle guerre pandemiche il prezzo del barile doveva crollare all’improvviso? Ascoltando vari analisti si ottengono spiegazioni molto diverse, che però non si escludono: sono complementari, e alla fine una risposta complessiva si intravede.
Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha l’impressione che il riflusso del petrolio sia soprattutto una questione di finanza: «Gli umori di Wall Street sono cambiati. C’è un calo generale di attenzione degli speculatori su tutte le materie prime, non solo sul petrolio. Questo ha preso il via col rallentamento dell’economia cinese e con la recessione in Europa, ma i “fondamentali” del mercato non sono peggiorati in modo drastico, è la speculazione che è venuta meno». Resta però l’obiezione: perché proprio ora, con tutte queste guerre? La risposta di Tabarelli è che i mercati, nel loro cinismo, vedono le guerre in corso come sanguinose, ma non minacciose per gli idrocarburi: «In Libia si combatte, ma le tribù sono diventate molto attente a non danneggiare le strutture petrolifere. Lo stesso in Iraq. In Ucraina si muore ma le manopole del metano restano aperte. Per i mercati succede poco o niente». Però in Iraq gli islamici hanno messo le mani su importanti risorse petrolifere... «Non è vero – ribatte Tabarelli –. Hanno preso vecchi pozzi, quasi tutti chiusi già ai tempi di Saddam».
A latere, Tabarelli lancia un sasso: «Non capisco perché le associazioni di consumatori non protestino. Con il petrolio in calo, la benzina e il gasolio in Italia dovrebbero scendere di almeno 5 centesimi al litro»
Massimo Siano, che a Londra per Etf Securities negozia titoli che hanno per «sottostante» il petrolio, non vede un calo di interesse della finanza: «Il flusso di denaro verso il greggio resta forte». Caso mai Siano vede come determinanti, nel crollo del barile, i condizionamenti dell’economia reale: «La domanda più bassa dalla Cina e dall’Europa si fa sentire». E anche lui sottolinea un paradosso: «In Libia nonostante la guerra civile la produzione e l’export di petrolio sono addirittura in crescita». E anche questo contrae i prezzi.
Ma il metano? E l’Ucraina? Nel 2006 e nel 2009 lì non si sparava, eppure il flusso attraverso i gasdotti russi in quegli anni si è bloccato. Adesso invece c’è la guerra, eppure il gas fluisce? Risponde Cristina Corazza, autrice del libro «La guerra del gas»: «In realtà, la Russia ha chiuso le manopole già a metà giugno, per togliere all’Ucraina il metano che andava ai suoi consumi interni. Nel 2006 e nel 2009, di fronte allo stesso problema, Kiev si rifaceva prelevando il gas di passaggio destinato all’Europa. Nel 2014 non lo fa per non alienarsi Bruxelles, alleata indispensabile contro Mosca». Quindi come fa l’Ucraina a tirare avanti? «Usa più carbone. Ma il carbone ucraino è nelle regioni orientali, proprio quelle in rivolta... perciò Kiev deve importare carbone, ma ha pochi soldi per farlo. Adesso è estate ma ai primi freddi ci sarà un altro dramma».
Tira le somme Fedele De Novellis, esperto di petrolio dell’istituto Ref: «Tutto vero, l’economia rallenta in Europa e in Cina e c’è meno speculazione. Ma io credo che se non ci fosse un premio speculativo per il rischio delle tensioni geopolitiche, il prezzo del barile sarebbe ancora più basso». Come mai? «Finora – risponde De Novellis – la sola Arabia Saudita ha tagliato la produzione di greggio per evitare il crollo dei prezzi dovuto ai nuovi idrocarburi da scisto. Ma basta che un produttore metta sul mercato pochissimo greggio in più e le quotazioni cadono».
E perché scendono persino i prezzi dei prodotti agricoli, che di solito salgono con le guerre? «Perché ormai col biofuel gli alimenti sono diventati un’alternativa ai carburanti. A seconda dei prezzi del petrolio, si decide quante terre destinare all’alimentazione e quante al biofuel. Perciò quando il petrolio saliva crescevano anche i prezzi degli alimenti, mentre adesso è il contrario». Tutto si lega.
Luigi Grassia, La Stampa 24/8/2014