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 2014  agosto 24 Domenica calendario

BRUNETTA: «NON SONO MAI DEL TUTTO FELICE, LA FELICITA’ LA RINCORRO»

Il romanzo su Renato Brunetta non lo poteva che scrivere Brunetta, e non poteva non avere le correzioni di Brunetta e le maniere poi, sempre quelle di Brunetta: «Non dico mai sono felice, sempre quasi felice. Il mio appagamento esistenziale mi aspetta in futuro, un futuro che spingo ogni giorno più in là. Se dico “io sono felice”, le invidie divine si abbattono su di me».
E allora che fa, Brunetta?
«Alzo gli occhi al cielo e faccio il gesto dell’ombrello».
Con quale messaggio?
«Tiè, ti ho fottuto ancora».
Quante paure nasconde?
«Il timore di perdere la salute mi angoscia».
E quanto le manca per l’altra metà della felicità?
«Il mio è un atteggiamento agonistico, mi sono conquistato quello che ho ricevuto. Non ho avuto regali. Io mi abbatto per cinque minuti e poi ricomincio».
Ha mai superato i cinque minuti?
«Ho due delusioni profonde. Volevo fare il sindaco di Venezia per amore. E sono dispiaciuto per la riforma della burocrazia e della Pubblica amministrazione, bastava un anno o poco più».
Venezia le ha negato l’ultima rivincita.
«È una città totalizzante, fisicamente diversa. Un ragazzo che cresce a Venezia non conosce le piante e gli animali. Solo le pietre. Io ho dovuto imparare piano piano i nomi di una pianta o di un animale».
E che giochi faceva il giovane Brunetta?
«A Campiello, vicino casa mia, disputavo partitelle di calcio infinite. Andavano oltre le 38 reti a 37. Il fischio lo davano i genitori che ci venivano a braccare».
E si faceva prendere?
«A volte mi sbucciavo le ginocchia, mescolavo sudore, sangue e fango. Mio padre era addetto alla medicazione, non sopportavo il dolore e scappavo via tra le calli».
È un uomo nostalgico.
«No, non sopporto la retorica del ricordo, ma tengo a mente una scritta di un negozio di orologi: le ore felici sono quelle che verranno».
E s’è chiesto perché Brunetta è indifferente al passato?
«Mi hanno educato al senso del dovere. Quando non andavo a scuola per capriccio, mio padre, venditore ambulante, mi mostrava dalla finestra i compagni che tornavano a casa dopo le lezioni. E mi domandava: “Non ti senti in colpa?”».
Non cita spesso sua mamma.
«Il padre era il dovere, la madre l’umanità. Il cognome di mia madre era Bacciolo, significava che proveniva da una famiglia di contadini che nelle valli da pesca allevano branzini e cefali. Il dovere, il secondo giorno di vacanza, mi fa sentire in colpa: oggi rispondo così a quella domanda di mio padre».
Non ha una vita privata?
«Io da capogruppo di Forza Italia gestisco 68 deputati, prima della scissione di Angelino Alfano erano molti di più. Rispondo a tutti e se non rispondo richiamo, anche di notte, all’una o alle due. Mia moglie mi comprende. Lei arreda interni, io so qualsiasi cosa su pavimenti, impianti elettrici o idraulici e lei sa tutto di me».
Questo Brunetta è sempre desto.
«Quando dormo, riposo. Quando faccio le cose che mi piacciono, pure. Adoro scrivere, un discorso, un articolo per il Mattinale. Ammiro chi ha la scrittura facile, per me è una fatica. Quando finisco, però, avverto un immenso piacere».
Il partito le potrebbe risparmiare la fatica del Mattinale.
«Stupidaggini! Non esiste. Il Mattinale resta così com’è. Non ci sono dissensi da sedare, non verrà trasferito. La linea è corretta, è quella di Berlusconi».
Il capogruppo Renato ha un pessimo carattere.
«Falsità. Dicono così quelli che non apprezzano il mio non essere cinico, il mio non essere opportunista».
Nel cerchio magico di Berlusconi apprezzano?
«Non ci sono cerchi magici o tragici, non è un uomo che si fa condizionare. Io martedì scorso ho trascorso un intero pomeriggio col presidente per fare il punto sull’autunno, l’economia e nessuno l’ha saputo. Io non ho bisogno di telefonare a Berlusconi per vivere. Ci vogliamo bene lo stesso».
Quanti litigi con l’ex Cavaliere?
«Io mi incazzo, tre volte mi sono incazzato davvero furiosamente con lui. Come quando mi impedì di partecipare alla conferenza stampa dopo la lettera della Banca centrale europea per non turbare uno che stava lì».
Era Giulio Tremonti, vi odiate?
«Preferisco non commentare. Ho tanti avversari che rispetto come Stefano Fassina, una persona onesta e competente. Non coltivo rancore a differenza di molti politici».
E cosa la offende?
«Il razzismo: chi dice sei alto o sei basso, sei bianco o sei nero, e dunque devi tacere».
Ha fede, Brunetta?
«Sono laico e mangiapreti. E sono uno dei pochi rimasti. Non mi interessa il papa, anche se Francesco è un bravo religioso e un bravo politico. Non ho mai messo piede in un oratorio, terribile imporre ai bambini la messa o il catechismo in cambio del gioco».
La politica contempla l’amicizia?
«Dipende. Io ho due di amici veri, compari di nozze, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Sacconi. Oggi usciamo di meno, siamo su due fronti opposti, ma non posso cancellare una vita in comune».
Vede che conosce la nostalgia?
«Io guardo avanti, comunque. Ci provo. Ci sono tante cose che voglio fare e che ancora non ho potuto fare. Ho la scorta da 31 anni, ho rischiato di morire, ma penso positivo».
E cosa pensa se guarda al prossimo decennio?
«Mi immagino ancora a scrivere, a studiare. A fare politica in altri modi, non posso continuare così, a questi ritmi e con questi impegni. E poi ho un sogno. Ma non mi paragoni a Massimo D’Alema».
Vuole farsi crescere i baffi?
«Ho preso in affitto un po’ di terre nei dintorni di Roma. Ho cominciato quest’anno con la produzione di un vino rosso doc: Montepulciano, Cabernet Sauvignon. Ci vado ogni giorno a vedere, a controllare: se non piove sono guai».
Piange spesso, Brunetta?
«Molto. L’ultima volta mentre guardavo un film, era I ponti di Madison County. Lacrimavo come un vitello. Sapete che volevo fare il fotografo e per anni l’ho fatto?».
Qual è la foto che non ha fatto, l’errore che ha commesso?
«Era un agosto di dieci anni fa a Venezia. Mio padre era caduto, era in coma. La mia famiglia, come quelle di tutto il mondo, si divideva per i turni in ospedale. E io, accanto a mio padre morente, ho capito di aver sprecato tanto tempo. Il tempo senza vederci e senza parlarci. Prima di morire, gli ho tenuto la mano e abbiamo cantato assieme. Anche se farfugliava, ci sembrava di intonare una bella canzone».