varie, 22 agosto 2014
APPUNTI DECAPITAZIONE PER IL FOGLIO ROSA
APPUNTI DECAPITAZIONE PER IL FOGLIO ROSA
Decapitare, «dal latino medievale decapitare, der. di caput - pĭtis – Uccidere tagliando la testa, soprattutto in seguito a condanna» (dall’Enciclopedia Treccani).
I primi a utilizzare la decapitazione in modo sistematico sono stati gli egizi. Nel periodo del Faraoni (dal IV millennio al IV secolo a. C.), coloro che infrangevano il Maat, la Regola Universale, commettendo crimini come omicidio, furto, sacrilegio, spionaggio e alcuni tipi di infrazioni fiscali, venivano messi a morte tramite decapitazione (ma anche annegamento nel Nilo all’interno di un sacco chiuso) [L’Indipendente 18/7/2004].
Nella Roma imperiale la decapitazione era la pena di morte riservata a chi possedeva la cittadinanza, essendo ritenuta rapida e non infamante (per schiavi e ladroni si applicava la crocifissione). Venne ampiamente utilizzata anche nel Medioevo e nell’Età Moderna. Fino al XVIII secolo in Europa la decapitazione era considerata come un metodo di esecuzione onorevole, riservata ai nobili, mentre i borghesi e i poveri erano puniti con metodi crudeli, come lo squartamento. In Cina, invece, era considerata la forma di condanna a morte più infamante perché, secondo la religione tradizionale, i corpi devono rimanere intatti. [Wikipedia]
Il taglio della testa, eseguito dal boia tramite una spada, detta spada da esecuzione, con molte varianti: nel Regno Unito, per esempio, era usata una scure e in Francia, dal 1792 al 1977 la ghigliottina, che successivamente si diffuse in molti stati.
Al giorno d’oggi solo l’Arabia Saudita conserva la decapitazione come metodo ufficiale di esecuzione, anche se secondo organizzazioni non governative è praticata da dittature africane e asiatiche. È poi usata spesso dai terroristi sugli ostaggi. [Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Laterza, 2002].
Colui che subisce la decapitazione perde la coscienza del mondo esterno in pochissimi secondi, e la morte sopraggiunge per paralisi dei centri nervosi dopo circa 1 o 2 minuti dal momento dell’inizio del troncamento del collo ricerca condotta dai ricercatori della Nijmegen University sotto la guida di Anton Coenen dal titolo: Wave of death signals time of death
La spada da esecuzione si diffuse in Europa durante il Rinascimento e cadde in disuso dal volgere del XVIII secolo, con l’introduzione della ghigliottina. Ultimo europeo giustiziato con una spada: lo svizzero Héli Freymond, decapitato a Moudon per omicidio nel 1868. [Philipp Abbott, Armi: storia, tecnologia, evoluzione dalla preistoria a oggi, Mondadori, 2007].
In Europa, la spada da esecuzione, sviluppata dal modello della spada a due mani del Tardo Medioevo, ha lama diritta, priva di punta. In Asia e in Africa, invece, la lama è ricurva. Nelle culture del continente africano, la spada da esecuzione è quasi sempre simbolo di potere del sovrano [Philipp Abbott, Armi: storia, tecnologia, evoluzione dalla preistoria a oggi, Mondadori, 2007].
«Boia», probabilmente dal greco boietai, che indicava le strisce in cuoio di bue con cui erano fatti i lacci e la frusta impiegati dai carnefici durante le sevizie. In epoca romana, il termine «boia» indicava prima il collare con cui il prigioniero veniva tenuto fermo durante la tortura, poi le catene ed infine la professione del torturatore e il carnefice stesso. [Focus Storia 8/2012].
Il boia più famoso fu Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta. Eseguì 516 condanne e le descrisse nelle sue Annotazioni. Nel 1864, a 85 anni, fu messo a riposo da Pio IX con una pensione di 30 scudi. Prima di ogni esecuzione si confessava e faceva la comunione. Lauretta Colonnelli: «Usava la ghigliottina e il cappio per l’impiccagione, ma era specializzato anche nella mazzolatura col maglio e nello squartamento. Aveva un mestiere di copertura: verniciatore di ombrelli in via del Campanile 4, una traversa di via della Conciliazione» [Stefano Lorenzetto, il Giornale 24/3/2013]
Lord Byron assistette a tre sue decapitazioni nel 1813, e scrisse che «La cerimonia – compresi i preti con la maschera, i carnefici mezzi nudi, i criminali bendati, il Cristo nero e il suo stendardo, il patibolo, le truppe, la lenta processione, il rapido rumore secco e il pesante cadere dell’ascia, lo schizzo del sangue e l’apparenza spettrale delle teste esposte – è nel suo insieme più impressionante del volgare rozzo e sudicio new drop e dell’agonia da cane inflitta alle vittime delle sentenze inglesi» [Claudio Rendina, la Repubblica 24/7/2007].
La ghigliottina fu adottata ufficialmente come forma di esecuzione in Francia il 20 marzo del 1792 e il suo uso venne abrogato da Mitterrand soltanto nel 1981, insieme alla cancellazione della pena di morte. Lo strumento prende il nome da un professore di anatomia, Joseph Ignace Guillotin, che ne suggerì l’uso come forma di morte più umana al posto della ruota della tortura o della decapitazione con l’ascia [Monica Ricci, Corriere della Sera 16/3/2008].
«La “vedova” (uno dei tanti appellativi dovuto al fatto che si ergeva isolata sul patibolo, “altera come una donna sola”) avrebbe provocato, in un crescendo di odio parossistico, una cifra oscillante tra i 15 e i 25 mila morti nel corso della Rivoluzione francese» (Lorenzo Mondo) [Lorenzo Mondo, La Stampa 14/8/2009].
Prima vittima, il ladro Nicholas Pellettier, il 25 aprile del 1792; ultima l’omicida tunisino Hamida Djandoubi, il 10 settembre 1977, a Marsiglia [Gabriele Romagnoli, la Repubblica 20/8/2006]
A convincersi che la ghigliottina fosse il metodo ideale fu re Luigi XVI. «Esperto bricoleur, volle apportare una modifica: invece della poco affidabile lama a mezzaluna, ne suggerì una obliqua. “Complimenti”, gli dissero dopo averla provata. La prima vendetta della ghigliottina fu che si abbatté anche sul suo collo. La seconda fu che, dopo aver funzionato perfettamente per anni, nel suo caso combinò un pasticcio, non riuscendo a segarlo del tutto, lasciandolo a morire dissanguato tra urla atroci e un accresciuto giubilo popolare. Si dice che il boia di Parigi, il leggendario Henri Sanson, pur avendo già eseguito migliaia di tagli perfetti, davanti alla testa coronata si emozionò e fece del suo peggio» (Gabriele Romagnoli) [Gabriele Romagnoli, la Repubblica 20/8/2006].
Dopo che la testa di Luigi XVI fu mozzata dalla ghigliottina, molti cittadini presenti all’esecuzione vollero intingere il loro fazzoletto nel sangue del monarca di Francia per conservare un macabro souvenir di quella storica giornata. [Franco Giubilei, La Stampa 27/10/2010].
Il caso del condannato al patibolo descritto da Djuna Barnes in Nightwood, che «leggendo un libro quando il carnefice lo toccò sulla spalla per dirgli che era ora, e lui, –alzandosi – mise tra le pagine un tagliacarte per tenere il segno e chiuse il libro» [Sergio Sergi, Silvana Bonetti Sergi, Temperamento e stili emotivi nel Rorschach, Armando, 2012]
Romagnoli: «La storia della ghigliottina è stata tragica e, inevitabilmente, ridicola. Il vertice dell’assurdo è nel presunto dialogo tra il boia Henri Sanson e la sua regale vittima Maria Antonietta. Lei, emozionata, gli pesta un piede e, in un riflesso condizionato di nobiltà, gli dice: “Pardon!”. A ruota seguono il genitore condannato per l’omicidio di un figlio (tal Moyse) che obietta al boia: “Come potete uccidere un padre di famiglia?”; e un presunto marchese che si oppone gridando: “Non potete uccidermi! Sono un siciliano!”» [Gabriele Romagnoli, la Repubblica 20/8/2006]
Anche l’Inghilterra ebbe un re decapitato, Carlo I, la cui esecuzione, compiuta nel 1649 per mezzo della scure custodita dal boia nella Tower of London, si deve al puritano Oliver Cromwell. Grande impalatore di nemici, anche Dracula, il sanguinario principe di Valacchia che ispirò la figura del vampiro di Bram Stoker, fu decapitato, dai turchi, in battaglia, perché si rifiutava di pagare i tributi. La testa fu portata al sultano come trofeo della vittoria [L’Indipendente 18/7/2004].
Lunga la disputa in ambito accademico sul comportamento delle teste mozzate, se continuino momentaneamente a vivere e se i condannati abbiano la percezione di assistere alla propria morte una volte decollati [Lorenzo Mondo, La Stampa 14/8/2009].
La teoria per cui il cervello continua a funzionare ancora per alcuni minuti (da due a, addirittura, quindici), ancora irrorato di sangue. Di qui le espressioni di orrore delle vittime, i loro occhi roteanti e lo sguardo beffardo. [Gabriele Romagnoli, la Repubblica 20/8/2006]
In uno studio pubblicato nel gennaio 2011, i ricercatori della Radboud University Nijmegen, guidati da Anton Coenen, hanno
rilevato un lampo di segnali elettrici che si verifica circa un minuto dopo la decapitazione (di ratti in questo caso). Per il team questo segnale elettrico rappresenterebbe il gemito finale del cervello [Focus 2/2011].
«Quando, sul campo di battaglia, incontrerai i miscredenti, taglia loro via la testa fino a quando non li avrai completamente annientati. Poi fasciali il più strettamente possibile». E ancora: «Porterò il terrore nei cuori dei miscredenti. Taglierò le loro teste e, successivamente, le loro mani». In questi versi del Corano, rispettivamente Sura 47.4 e 8.12, i jihadisti moderni trovano l’origine, l’autorizzazione e il fine alla pratica delle decapitazioni. La prima Sura prosegue, secondo le traduzioni più accreditate, con le seguenti parole: «Ma successivamente per un atto di grazia o attraverso il pagamento di un riscatto è giusto liberarli quando la guerra finisce» [Francesco Maria Cirillo, Fanpage.it 22/8].
Il boia jihadista lavora di macelleria antica (coltello che sega, non colpo di scure o lama compassionevole di ghigliottina) e corre a completare la propria voluttà mettendo il film in Rete [Adriano Sofri, la Repubblica 21/8]
«Quando uccidono gli Zetas, il cartello messicano più potente, sono sadici: picchiano con bastoni o pagaie che hanno la lettera Z a rilievo, in modo da lasciare la loro firma sui cadaveri; decapitano le vittime con la sega elettrica — loro marchio caratteristico — per poi esibire la loro testa e diffondere il terrore. Non c’è limite alla brutalità: a volte i genitali delle vittime vengono tagliati e infilati in bocca, i cadaveri senza testa vengono appesi ai ponti e addirittura una volta la faccia di un uomo fu staccata e cucita sopra un pallone da calcio» (Roberto Saviano) [Roberto Saviano, la Repubblica 17/7/2013]