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 2014  agosto 22 Venerdì calendario

PERISCOPIO


I palcoscenici del fallimento di Roma sono tanti. Cominciamo con corso Vittorio Emanuele, il rione Monti, e poi via Cavour, in mezzo a gelati che sanno di sapone, panini precotti, pizze al taglio e gente che ti vuol far magiare a tutti i costi porcherie. E dove c’era una libreria ora ci sta una saracinesca chiusa con la scritta «vendesi». E in via Giulia, che era la più bella strada del mondo, non ci si può più andare né in macchina, né a piedi. E dappertutto vendono la stessa fregnaccia, la solita statuetta di Giulio Cesare fabbricata in Cina. E i Fori imperiali, che sono una pedonalizzazione sbagliata e pure finta... e la nuova Metropolitana che sono sicuro che io muoio e neanche la vedo, capolavoro di un nuovo stile architettonico: l’incompiuto romano. E ancora quel raccordo anulare da Terzo mondo. È come nel film di Fellini. Quello era così visionario che aveva già filmato anche il fallimento della città di Marino. Carlo Verdone. la Repubblica.

Ad ascoltarmi, sembro un saggio, invece poi nella vita, o per distrazione o per leggerezza, si finisce per dimenticare gli affetti più veri. Io non posso insegnare nulla a nessuno. In certi momenti si diventa diavoli non perché si sia cattivi, ma perché la vita ci porta in un’altra direzione, ci distrae, ci fa prendere scorciatoie e passare con il rosso. Io sono stato distratto dal privilegio di poter fare ciò che mi piaceva. Così ho avuto persone che mi volevano un bene dell’anima, ma quando hanno avuto bisogno di me ho risposto: non ho tempo, ho così tante cose da fare. Ho tanti sensi di colpa. Elio Fiorucci, stilista. Corsera.

In generale nessun modello sociale o statuale immaginato da qualche solerte apostolo dell’umanità e sommariamente assemblato in laboratori, ha alcuna possibilità di funzionare. Normalmente produce infelicità, distruzione, morte; ma fortunatamente non riesce mai a durare a lungo. Gli esempi più vistosi ci vengono dalle società perfette del Novecento: il comunismo euroasiatico e la sua variante mitteleuropea, il nazionalsocialismo, hanno prodotto più morti di tutto il resto della storia dell’umanità messa insieme. Ma infine si sono schiantati. L’unità d’Italia ha avuto conseguenze meno drammatiche, e anzi tendenzialmente ridicole: ma sul piano teorico condivide con ogni altro modello artificiale di Stato la medesima arroganza intellettuale, la medesima violenza ideologica, e la medesima vocazione al fallimento. Il motivo fondamentale per cui l’Italia non funziona, dunque, è perché esiste. Fabrizio Rondolino, L’Italia non esiste - Per non parlare degli italiani. Mondadori, 2011.

Il gatto Dolomiten che se ne stava in cucina con la padrona, appena mi sentiva alla porta se ne andava nella mia camera a occupare il posto al quale pensava di aver diritto. Mi era capitato più volte di vederlo di coda, mentre svoltava in fretta nel corridoio per farsi trovare sulla sedia. Piero Chiara, Il cappotto di astrakan. Mondadori, 1978.

Dolce vita? Brrr!. Alberto Arbasino, Ritratti italiani. Adelphi.

Rossoni, agitatore socialista assieme a Mussolini, aveva detto, a cena, che era stanco, aveva bisogno di un po’ di riposo: «Debbo andare domani a Piacenza per un processo, ma dopo torno e ci rivediamo perché mi voglio fermare da mia mamma per un bel pezzo». Ma al processo di Piacenza gli hanno dato quattro anni più due di vigilanza speciale. Ma il giudice non aveva finito di leggere la sentenza che lui (che s’era messo per sicurezza in mezzo al pubblico, essendo ancora a piede libero) già era fuori dal Tribunale di corsa a gambe levate e la sera sta già a Lugano, in Svizzera, e noi non lo abbiamo più visto per almeno dieci anni. Dalla Svizzera passò in Francia con Corridoni, a Nizza, e anche là ebbe problemi con la polizia e riuscì a imbarcarsi su una nave per il Brasile: «Ah, di prigione mi è bastata quella di Copparo, ciàpeme, si sìo bòn». Era ormai pieno di condanne fino al collo. Gli piovevano da tutte le parti. Però non riuscivano mai ad acchiapparlo, al momento giusto gli sgusciava sempre via come un’anguilla di Comacchio, e alla fine di tutta la storia, l’unico periodo che si è fatto dentro è stato proprio quel mese con mio nonno per i fatti di Copparo. Antonio Pennacchi, Canale Mussolini. Mondadori, 2010.

Renzo provava una strana esaltazione. Il mito di quei grandi morti antichi vapora su dalle righe nere di stampa al suo cervello di ragazzo. Vedi le proboscidi degli elefanti epiroti, la lancia nelle carne di Epaminonda, la mano negra di Annibale sull’altare del dio Baal. Vorrebbe far pace con questi generali terribili, gridar loro che si salvino, si ribellino a starsene là schiacciati in quel libro, come soldatini di carta del vocabolario di Bottarelli. Alla riscossa, generali! La scuola vi ha sconfitti, ha fatto di voi delle odiose sanguisughe di scolari, degli ablativi assoluti, ma voi appartenete alla Storia. Fuori, aria, quadrighe. Mare nostrum... Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori, 1963.

A fondovalle la foschia si è asciugata. Prati e campi hanno ripreso vita e colore; luminosi, oggi, con il sole riflesso nei pantani lasciati dalla pioggia. L’erba brilla per le gocce di rugiada depositate dall’umidità dell’erba, e a completare il quadro primaverile volano uccelli a decine, chiassosi, invadenti. Da quasi quattro anni, niente caccia: tutti i fucili sono stati sequestrati o sigillati per lo stato di guerra. Nei boschi e nelle campagne hanno funzionato solo le reti dei roccoli tra gli alberi, o certe trappole che servono a poco, nascoste nei cespugli, nei rovi. Il popolo del cielo ha così potuto moltiplicarsi. E tornare padrone del suo territorio. Folco Quilici, La dogana del vento. Mondadori, 2011.

La maestra: «Per che cosa è famoso Garibaldi?». Gianni: «Per la sua memoria, signora maestra». «E che cosa te lo fa pensare?». «Gli hanno eretto un monumento “Alla memoria”». Gino Bramieri, Barzellette. Euroclub.

In fondo amiamo e odiamo solo che ci ama e ci odia. Roberto Gervaso. Il Messaggero.