Adriana Bazzi, Corriere della Sera 22/8/2014, 22 agosto 2014
INFUSIONI E VACCINI COSTRUITI CON DNA QUANDO ARRIVERÀ LA TERAPIA PER TUTTI
Sopravvivere a un virus che è mortale fra il 60 e l’80 per cento dei casi. Merito di un farmaco sperimentale o della fortuna di appartenere a quella percentuale di persone che sarebbe, comunque, sopravvissuta all’infezione?
Al medico americano Kent Brantly e alla volontaria Nancy Wristebol, guariti e appena dimessi dall’Emory Hospital di Atlanta, è stato somministrato un cocktail di tre anticorpi monoclonali (prodotti da piante di tabacco transgeniche), chiamato ZMapp, finora testato soltanto sugli animali da esperimento e, in più, il siero di persone sopravvissute alla malattia. Grazie a questo trattamento anche tre medici liberiani hanno mostrato segni di miglioramento, mentre un prete spagnolo di 75 anni è morto.
È dunque presto per dire se davvero siamo di fronte a una terapia efficace, anche se può essere definita promettente dal momento che ZMapp ha dato risultati positivi negli animali da esperimento.
Le infusioni
L’idea di utilizzare il siero (la frazione liquida del sangue) di persone guarite dall’infezione non è, invece, nuova ed è già stata sfruttata anche per curare altre malattie. Certe persone riescono a sopravvivere a un’infezione, anche in mancanza di cure, proprio perché riescono a produrre molti anticorpi contro il virus: questi anticorpi rimangono nel loro sangue e possono essere prelevati e somministrati a nuovi pazienti. Nel 1995, durante un’epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo, su otto malati trattati con un siero di questo tipo, sette sono sopravvissuti.
Per combattere l’Ebola non esistono, dunque, trattamenti di provata efficacia, ma soltanto farmaci e vaccini sperimentali e gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), di fronte a una situazione così drammatica (i morti sono arrivati a quota 1.300), ne hanno autorizzato l’uso, ritenendolo eticamente corretto.
Il ZMapp funziona attaccando alcune proteine che si trovano sulla superficie del virus Ebola, distruggendolo.
Il materiale genetico
Altri farmaci allo studio agiscono in maniera diversa e interferiscono con il materiale genetico del virus (in particolare l’Rna): uno si chiama Tkm-Ebola, è prodotto da un’azienda canadese ed è stato sperimentato sulle scimmie e su volontari sani (è questa una tappa preliminare della sperimentazione di un farmaco e ha l’obiettivo di valutare la sicurezza e non l’efficacia). Un trattamento simile, sviluppato invece da un’azienda americana, è stato finora provato su volontari, ma mai su pazienti.
Un terzo composto (costituito da Rna incapsulato in nanoparticelle lipidiche) ha appena dato buoni risultati in scimmie infette dal virus Marburg, un parente stretto dell’Ebola, anch’esso responsabile di febbri emorragiche: secondo i dati appena riportati da Science il farmaco, somministrato alla comparsa dei primi sintomi, è in grado di salvare la vita agli animali infetti.
Gli antivirali
Alcuni gruppi di ricerca puntano, invece, sulle cosiddette small molecules , piccole molecole che funzionano come antivirali in quanto interferiscono con gli enzimi che servono per la replicazione del virus: uno si chiama favipiravir e lo stanno studiando in vitro, gli altri non hanno un nome e sono ancora identificati con le sigle.
Rimane, poi, la grande scommessa dei vaccini. L’Oms prevede che potrebbero rendersi disponibili entro il 2016. Si lavora su due fronti: uno è quello dei vaccini a Dna, costruiti con frammenti di materiale genetico che servono per produrre proteine di superficie del virus. Il secondo è quello dei vaccini cosiddetti virali: in questo caso si utilizzano virus (come l’adenovirus, quello del raffreddore) che servono per trasportare alcuni geni dell’Ebola e stimolare così la risposta immunitaria dell’organismo cui vengono somministrati.
Gli investimenti pubblici
La ricerca si sta muovendo, ma è legittima, a questo punto, una domanda: quali sono le probabilità che queste terapie si rendano disponibili? Secondo gli esperti è improbabile che le industrie farmaceutiche investano molte risorse per sviluppare farmaci destinati a curare un’infezione che, almeno finora, si è manifestata sporadicamente, e per trattare, in definitiva, pochi pazienti.
Per avere una realistica possibilità di successo sono indispensabili gli investimenti pubblici. Il Governo inglese si è già mosso in questo senso lanciando un concorso di idee per vincere il virus: in palio ci sono 6,5 milioni di sterline, oltre otto milioni di euro per chi produrrà «forti evidenze e analisi» su come l’infezione si diffonde, sul modo migliore per contenerla e trattarla e sulle migliori strategie per informare la popolazione sui rischi. Sarà cofinanziato dal Dipartimento per lo sviluppo internazionale e dalla fondazione per la ricerca medica Wellcome Trust.
Intanto, però, secondo un modello matematico messo a punto da ricercatori dell’Università di Oxford e appena pubblicato su Nature , almeno 30 mila persone avranno bisogno di farmaci nel corso dell’attuale epidemia. La disponibilità di medicine, ancorché sperimentali, è molto limitata. E i ricercatori hanno identificato quattro gruppi a rischio che dovrebbero essere trattati in via prioritaria: le persone infettate, i membri della famiglia e i contatti stretti; il personale sanitario e coloro che sono coinvolti nelle pratiche funerarie; coloro che appartengono a missioni umanitarie e , infine, viaggiatori che si recano in Paesi dove il virus non c’è.