Enrico Mannucci, Sette 22/8/2014, 22 agosto 2014
QUEL SUONO DI CAMPANA HA FATTO BRILLARE LE DIVE
Una campana, da far suonare per celebrare la fine della guerra. L’idea venne a Pietro Capuano, erede di una stirpe di gioiellieri napoletani, il «più ricco guardaroba caprese», secondo quel che si diceva nei salotti dell’isola, affascinante animatore di molte serate mondane.
Capri, negli anni del secondo conflitto mondiale, era stata un’isola nel senso più totale. Per averne un’idea, basta sfogliare un giornale locale, La voce di Napoli, dell’agosto 1941. Lì, viene registrato il pienone negli alberghi (all’epoca, Quisisana, Tiberio Morgano Palazzo, Splendido, La Palma, Manfredi Pagano, Villa Le Terrazze, Tragara): «Per godere delle ritempranti cure balneari ed elioterapiche... malgrado le contingenze del periodo bellico in questo angolo di paradiso in mezzo al mare si gode la più perfetta tranquillità». Oppure leggere il racconto della spensierata cronaca in diretta fatta da Curzio Malaparte quando un sommergibile britannico e una torpediniera italiana ingaggiano un duello al largo dei Faraglioni.
Certo, erano scomparsi turisti e residenti anglo-americani, quella colonia straniera che, dal secolo precedente, aveva fatto – assieme ai tedeschi – la fortuna dell’isola e anche la sua fama peccaminosa, di luogo dove era lecita ogni trasgressione. Ora, semmai, i forestieri erano in divisa, gli ufficiali alleati spediti a Capri per ritemprarsi dalle fatiche dell’avanzata lungo la penisola.
Forse è per questo che Capuano ebbe l’idea ispirato dalla leggenda di San Michele, dove un pastorello ritrova la pecora ovviamente smarrita grazie al suono di una campanella, dotata di poteri eccezionali visto che a dargliela è stato il santo.
Nell’archivio della ditta, la prima traccia della “Campanella” è una lettera datata 20 ottobre 1944, firmata Giuseppe Di Pietro, evidentemente un fonditore: «Come da vostra ordinazione ho eseguito la campana di S. Michele (Capri), la detta campana raffigura da un lato S. Michele che schiaccia il demonio, lo sfondo vi è il mare con i caratteristici faraglioni. L’altro lato vi è una allegoria di putti che rovesciano un corno di abbondanza... Voglio sperare che detta campana che dovrà essere inviata al presidente degli Stati Uniti risulti di pieno gradimento».
Perché, come certificano le foto dell’epoca, una versione in grande stile – un campanone bronzeo – fu offerto agli ufficiali americani come dono per il presidente Usa, Franklin Delano Roosevelt, a simboleggiare i tempi meno cupi che si spera in arrivo. A Capri si sparse poi la voce che il successore di Roosevelt, Harry Truman, l’avesse fatta rintoccare al momento delle fine vittoriosa della Seconda guerra mondiale.
Una “preziosa” alleanza. Nella versione mignon, la campanella divenne il simbolo di una brillante carriera, atto di nascita di un’impresa di successo. Qui, poi, bisogna introdurre un altro personaggio: Edda Ciano. La figlia di Mussolini amava molto Capri. Qui aveva sposato Galeazzo, futuro ministro degli Esteri, e qui i due avevano tenuto una villa al Castiglione. E qui lei tornò – dopo un periodo di confino a Lipari – quando rientrò in Italia dopo la rottura col padre, la fucilazione del marito e la fuga in Svizzera. La vecchia casa non era più disponibile, prima sfruttata dagli anglo-americani come “buen retiro” per gli ufficiali in licenza, poi confiscata dalla neonata repubblica italiana. Ma Edda trovò chi l’accolse a braccia aperte... Capuano, appunto, che le offri ospitalità nella sua villa battezzata “Chantecler” – dalla novella di Rostand dove si chiama così il gallo “esuberante” – e fu a lungo chiacchierato come possibile nuovo sposo della contessa. Era il momento in cui Capuano stava lanciando la sua geniale invenzione e, secondo i giornali dell’epoca, i due si misero in società per assicurare successo al progetto.
Era anche il momento in cui i divini mondani e le regine dell’isola cominciavano a tornare. Il vapore di lusso che partiva alle 11 dal molo Beverello, a Napoli, viaggiava di nuovo a pieno carico. In novembre, Vogue riportò la notizia che Gracie Fields (la cantante americana che poi creerà la “Canzone del Mare”, chiamando alla direzione Nevio Franceschi, già animatore della “Capannina” di Forte dei Marmi) e Mona Williams – poi Bismarck – avevano di nuovo messo piede a Capri.
Sempre in quegli anni, sull’Europeo, Oriana Fallaci descriveva gli usi capresi: la vita comincia a mezzogiorno, prima sarebbe disdicevole. A quell’ora si scende alla Canzone del Mare, Marina Grande è “da borghesi”, nuotare vicino a riva è usanza “dopolavoristica”. Novella Parigini si fa fotografare prendendo il sole nuda... Francesca Blanc, moglie di Dado Ruspoli, si vede con Franco Mancinelli Scotti, però Dado, quando nota che guarda una collana da due milioni da Capuano, il giorno dopo gliela compra subito.
Dopo i primi successi, infatti, Pietro “Chantecler” si era reso conto che aveva bisogno di una base, un negozio. In via Camerelle c’era un piccolo fondo che faceva proprio al caso suo. Con un però. Mondano e cosmopolita com’era, Capuano non se la sentiva di vincolarsi a orari e presenze quotidiane. Il sodalizio con Salvatore Aprea nasce così. Perché gli Aprea, da tempo, gestivano a Capri dei negozi di coralli e cammei. E Capuano chiese un consiglio a Gabriele Aprea, il papà di Salvatore.
È il 1950. Gabriele suggerì una soluzione: il figlio sta per laurearsi in legge, ma ha anche un avanzato progetto di matrimonio, magari, almeno per un po’, potrebbe dare una mano e seguire il negozio. Quel «per un po’» diventeranno più di trent’anni. Di grande amicizia, quasi complicità, e anche di laboriosi accomodamenti che Salvatore deve metter in atto per sistemare le stravaganze cui inclina Chantecler (non abbandonerà mai quello stile di fastosa eccentricità che l’ha reso personaggio unico e affascinante: vuole che le scarpe siano lucidate di sopra e anche di sotto, sulla suola; a tavola esige di avere davanti una quantità di calici per inebriarsi al profumo dei vini; a ogni portata, di rigore, il tovagliolo va cambiato...). È così che, fino al 1982, quando Capuano scompare, Aprea diventerà “il socio di sempre”, rilevando poi il marchio dagli eredi.
E curando una clientela che più glamour non potrebbe essere. Il jet set ai massimi: aristocratici, magnati dell’industria e star…
Tante, tutte, le grandi dive sono passate da Capri. Dalla Bardot a Rita Hayworth. Ma due sono quelle perfettamente in sintonia con lo stile dell’isola. La prima, cronologicamente, fu la Bergman. La tormentata storia d’amore con Rossellini ebbe qui uno scenario d’elezione. Capuano lo celebrò da par suo: una mattina del 1952, dopo una sua estenuante giornata di riprese per Viaggio in Italia, le fece trovare l’ormai fatidica campanella nella camera d’albergo. L’altra, indisputata, star è Jackie – anzi, Jacqueline, visto che mai amò quel diminutivo – prima Kennedy, poi Onassis (e si dice che qualcuno conservi suoi assegni firmati coi due cognomi). Assolutamente impeccabile, anche durante le fatidiche salite verso il monte Solaro: T-shirt e pantaloni di gran taglio, insomma una specie di incarnazione di quella misteriosa alchimia che ha sempre reso possibile, sull’isola, una composta comunanza fra magnati e popolani, come avrebbe detto qualche storico dei tempi andati. E anche lei assidua della bottega (ormai diventata uno dei negozi più lussuosi dell’isola) di via Camerelle.
Vietati i doppioni. La cifra di Chantecler è chiara fin dalle prime creazioni, quando aveva compreso l’inadeguatezza, per lo stile di Capri, del gioiello medio venduto in Italia. Anche in questo caso contano assai il suo garbo e le sue capacità mondane. Che gli procurano il credito con cui riesce a conquistare le perle più rare e nelle più belle sfumature cromatiche (inflessibile, sentenziava: «Le perle coltivate sono false») oppure i diamanti più pregiati, di forme inusuali, quasi mai rotondi (anche in questo caso il suo verdetto era definitivo: «Il cliente caprese ricco, già c’è l’ha il solitario...»). Insomma, innovativo, stravagante, ma di una eccentricità legittimata da gemme assolutamente particolari.
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