Richard Aldhous, Gq 22/8/2014, 22 agosto 2014
INTERVISTA A SYLVERTER STALLONE
STORIE
Sylvester Stallone, il “mito vivente”, è la dimostrazione che anche le stelle del cinema d’azione non più giovani possono sempre ritornare in auge. I film sui supererei dei fumetti saranno pure l’ultima mania di Hollywood, ma il 68enne “Sly” è riuscito a reinventarsi come protagonista di una nuova serie di successo: I mercenari – The Expendables. I primi due episodi hanno incassato al botteghino ben 600 milioni di dollari, e il terzo, questo mese in sala con un cast di grandi nomi, dovrebbe dare altrettante soddisfazioni.
In un periodo in cui il mercato dei blockbuster è dominato da giovanotti muscolosi in latex dotati di superpoteri, come vede il popolare “Sly” il suo ritorno in campo? «Bisogna dare al pubblico ciò che vuole», risponde. «Sono in giro da molto tempo e ho visto tanti generi passare di moda, ma credo che la gente voglia ancora vedere degli eroi in azione, i buoni che sconfiggono i cattivi. E divertirsi. Se la storia è buona e i personaggi interessanti, la risposta è per forza positiva».
In mercenari 3 - The Expendables Sly veste ancora i panni di Barney Ross, capo di una squadra di agenti segreti non più giovani, stavolta alle prese con un altro nemico: lo spietato trafficante di armi Conrad Stonebanks (Mel Gibson). Il quale, dopo essere stato tra i fondatori del team, ha giurato di annientarlo: «Abbiamo avuto un diverbio», dice nel trailer.
Il risultato? La classica serie di esplosioni, sparatorie e corpo a corpo in cui Stallone e Harrison Ford (72 anni), Arnold Schwarzenegger (67), Mel Gibson (58), Dolph Lundgren (56), Antonio Banderas (54), Wesley Snipes (52) e Jason Statham (47) mostrano che le star vecchio stile sono ancora capaci di sbancare i botteghini. Però questa volta “Sly” ha voluto moderare linguaggio e violenza dopo che i primi due episodi, nei cinema degli Stati Uniti, erano stati vietati ai minori di 17 anni non accompagnati.
Oggi Stallone vive in Florida con Jennifer Flavin, 45 anni, e le figlie Sophia, 18, Sistine, 16, e Scarlet, 12. Sage, uno dei figli avuti dalla prima moglie, è morto due anni fa; il fratello Seargeoh ha 35 anni.
Che cosa deve aspettarsi il pubblico da un film come I mercenari 3?
«Volevo riprendere il meglio dei primi due episodi e raggiungere un’audience ancora più ampia. Azione e commedia sono ben bilanciate: penso sia stata una buona scelta. Mi piace l’idea di rivolgermi a nuove generazioni che non ci hanno visto quando eravamo agli esordi. Le sorprese sono tante, in particolare c’è un combattimento incredibile in elicottero».
Ti è piaciuto lavorare con altri miti del cinema d’azione?
«Forse non mi sono mai divertito tanto. Quando hai a che fare con i migliori professionisti, in qualunque campo, provi un misto di venerazione ed euforia: sei di fronte a persone che sono arrivate ai massimi livelli della carriera. In questo episodio della saga ci sono nuovi interpreti come Mel Gibson, Wesley Snipes, Antonio Banderas; e star più giovani come Kellan Lutz e la campionessa di arti marziali Ronda Rousey, che ha il ruolo di mia moglie».
Quindi sei soddisfatto di questa tua nuova grande saga?
«Sono orgoglioso di ciò che faccio, lo ammetto. Voglio restare in gioco anche con un pubblico più giovane. E ho realizzato il sogno di lavorare con Arnold, combattere contro Jean-Claude e misurarmi con Mel. Lo desideravo da tempo: per una ragione o per l’altra, non c’ero riuscito».
Dimmi la verità: girare le scene d’azione, oggi, è più faticoso?
(Ride) «Sì, lo ammetto, è diventato più difficile. Ti fai male e alzarsi, il giorno dopo, è una tortura. Ossa rotte, tendini strappati, lividi dappertutto. Ma sei parte di una storia in cui i personaggi hanno passato cose ben peggiori: un po’ di dolore come parte del lavoro, lo sopporti. Sai che ti spaccherai la schiena e prenderai botte in faccia e alle costole, ma è in assoluto uno dei lavori più belli».
Oggi sei più cauto in quelle scene?
«Nessuno vuole correre rischi inutili. Ma il pubblico non ama le controfigure: in mezzo alle esplosioni si aspetta di vedere te, e in ogni film do tutto ciò che posso. Sempre. Continuo a lottare, torno sul ring per un altro round... Mi sento ancora in forma, non mollo. Finché ginocchia e fisico reggeranno, andrò avanti».
Il mitico Rocky, 3 premi Oscar, è un film del ’76 dedicato alla riscossa. Per Sylvester Stallone è ancora importante inseguire i sogni?
«La vita mi ha insegnato a non mollare. Mai. Tutti sanno che ero al verde nel ’76, ma mi sono ostinato a interpretare il personaggio Rocky anche se mi avevano offerto 300 mila dollari per cedere la sceneggiatura e sparire. Non volevo farlo, non l’ho mai considerato un rischio. Quasi tutti i registi famosi sono scappati appena hanno saputo che ero coinvolto nel progetto: ma io non avevo scelta. Sapevo di “essere” Rocky Balboa. E il fatto che il pubblico mi sia rimasto accanto, in tutti questi anni, mi riempie di gioia».
Dunque Rocky, in qualche modo, rispecchia la tua filosofia di vita.
«Rocky ha imparato, esattamente come è successo a me, che per quanto successo tu possa avere sul ring o nel cinema, combatti non per la fama o la ricchezza ma per la tua famiglia. La vera sfida consiste nel riuscire a rendere felici i figli, la moglie, i parenti. Se no, che cosa ti resta?».
Hai sempre interpretato personaggi svantaggiati. Ti senti così?
«Anche se hai raggiunto molti obiettivi, vuoi comunque metterti alla prova. Lo so, ho avuto alti e bassi: ma la vita è una lotta. All’inizio, quando ho cominciato a lavorare sul “personaggio” di Rocky, pensavo a un contadino o a qualcosa del genere, ma non mi sembrava tanto affascinante... (ride). Poi m’è venuto in mente un combattente, uno che avrebbe potuto diventare qualcuno se la vita non l’avesse portato su un binario morto. Ma i suoi sogni, no, quelli erano vivi: dentro, era sicuro di poter lottare contro il più forte. Il punto non era creare un eroe invincibile bensì un uomo capace di rialzarsi e non mollare. Nella vita devi imparare a vincere le paure e metterti in gioco. Per poi non pensare, se ti guardi indietro: “Ehi, non ci ho provato. Che peccato”».
Le stelle del cinema d’azione sono una razza in via d’estinzione?
«Siamo rimasti in pochi, di nuove leve non ce ne sono molte. Il problema è che si fanno meno action movie. Jason Statham, però, è tosto: l’ho visto lavorare, è un osso duro. Durante le riprese ha rischiato di annegare, ma per fortuna è un buon nuotatore... Siamo tutti molto preparati, altrimenti, visto che abbiamo girato in Bulgaria, saremmo finiti sul fondo del Mar Nero».
Cosa è cambiato a Hollywood da quando hai cominciato?
«Tutto. Non ci sono più studios disposti a correre rischi, come faceva la vecchia Metro-Goldwyn-Mayer ai tempi di Rocky. Insomma, non so se oggi uno come me riuscirebbe a fare un film come quello».
Come giudichi la tua carriera, fra gli alti e i bassi di cui parlavi prima?
«Ho cercato di essere un attore versatile. Non ho mai puntato a diventare una star del cinema d’azione: forse molti resteranno sorpresi, ma basta prendere in considerazione tutti i miei film per capire che ho cercato di fare cose diverse, come Taverna Paradiso. Ai tempi di 48 Ore, quando ho rifiutato il ruolo di Jack Cates che poi ha interpretato Nick Nolte, avevo alle spalle una tale massa di errori che davvero temevo di non riuscire a riprendermi. So di aver fatto alcune scelte sbagliate, ma nella vita tutti commettiamo per forza degli errori: io non faccio eccezione. Però ho imparato dai miei sbagli, e con I mercenari credo di aver imboccato la strada giusta. La gente ama questo genere di svago e vuole vedermi in storie così».
Quindi consideri il successo di questa nuova serie una rivincita anche nei confronti del passato?
«Fa un enorme piacere constatare che al pubblico interessi ancora. Quando sei su la cresta dell’onda e tutti ti amano, credi di essere il migliore: il successo non è difficile da gestire, la vera prova di carattere è quando ti ritrovi fuori gioco, dimenticato, messo da parte. Troppe persone si arrendono, dopo aver fallito. Ma se sei un vero combattente, la sfida più importante arriva quando sei a terra malconcio e vuoi a tutti i costì rialzarti. Per me, quello che più conta è essere sempre pronto a rischiare: non importa se finirai di nuovo al tappeto, almeno avrai la certezza di aver dato il massimo, di aver provato a reagire a tutti i costi, per procurarti un’altra possibilità».
Come sta andando la tua vita in famiglia, in questo periodo?
«Quando sono a casa trascorro buona parte delle giornate a scrivere. E una parte importante della mia esistenza. Anche se i risultati non sono sempre buoni, vale comunque la pena di provarci: un giorno o l’altro quel materiale potrebbe servirmi per una sceneggiatura, o come idea di base per un nuovo film. Però quel che amo di più in assoluto è stare con mia moglie e le figlie. Trascorro molto tempo con loro. Ammetto di essere stato tanto fortunato nella vita, e le cose più belle che ho avuto sono la mia casa e tutti quelli che mi amano e mi stanno intorno. Sono un padre di famiglia felice, insomma».
Il matrimonio con Jennifer Flavin è stato un grande successo. Qual è il segreto di questi 17 anni?
«Prima di incontrarla ero concentrato quasi esclusivamente sul lavoro, sul mio mondo, e ho commesso molti errori. Insomma, quando arrivi a cinquant’anni e ne hai già passate cosi tante, dovresti sapere come far funzionare un matrimonio! Ormai finalmente l’ho capito: è davvero quel che più conta nella vita».