Massimiliano Panarari, La Stampa 22/8/2014, 22 agosto 2014
IL FILM DIVENTATO PROFEZIA
Tutto tragicamente, maledettamente reale a Ferguson, Missouri. Eppure potremmo anche essere immersi nella lettura di un libro o nella visione di un film. Perché i riots di queste ore riecheggiano da tempo nella fantascienza anglosassone che riempie i nostri incubi di immaginario distopico.
L’ultimo esempio è arrivato nelle sale cinematografiche proprio in questi giorni, ed è il sequel di un film di successo dell’anno scorso con Ethan Hawke, intitolato «La notte del giudizio». Ovvero l’America del futuro prossimo venturo dove le autorità proclamano una volta l’anno il giorno dello «sfogo», nel corso del quale viene legalizzato per alcune ore l’omicidio, con l’esito, l’indomani, di riconsegnare alla classe media impaurita e ancora sotto shock per una recente catastrofe finanziaria una nazione «rinata» e purgata dai criminali, ma anche (e soprattutto) da marginali, «irregolari», drop-out, deboli e gente di colore.
«Anarchia», ora sul grande schermo, ne è la continuazione raccontata dall’angolo prospettico di quello che succede nelle strade, ancor più horror (e assai più B movie) del precedente, in un tremendo tripudio di sangue, scontri e, giustappunto, rivolte. Perché la narrativa distopica, letteraria o visiva, degli ultimi decenni (un nome su tutti: J. C. Ballard) ha saputo intuire con preveggenza, mediante il filone post-apocalittico, il nostro presente. E istituire paralleli e rimandi inquietanti: le orde di zombi al centro di film e serie tv (inequivocabilmente, gli equivalenti contemporanei del feuilleton ottocentesco), come «The Walking Dead» e la prossima «Z Nation», possono venire lette anche alla stregua di una metafora postmoderna delle masse dei diseredati.
Per un verso, il (giusto) terrore dei ceti medi, spina dorsale delle democrazie liberali, impoveriti, in crisi identitaria (come si sta raccontando su queste colonne) e scaraventati nell’età postdemocratica. E, per l’altro, la triste realtà della popolazione afroamericana, sempre maggiormente esclusa dalla società dei consumi e dalla civiltà del lavoro negli Usa di questa estate del loro (e nostro) scontento.