Edoardo Porter, Gq 22/8/2014, 22 agosto 2014
THOMAS PIKETTY RIFA IL CAPITALE:
«Cosa ferma la crescita? Una ricchezza enorme concentrata nelle mani di pochi». La disuguaglianza dei redditi, sfida cruciale. A 43 anni il francese Thomas Piketty, docente della Paris School of Economics, ha dedicato la carriera a comprendere le dinamiche della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e le ha riassunte nel nuovo libro, II Capitale nel Ventunesimo secolo.
Lei non parla di crescita, ma di come i suoi frutti vengono ripartiti: ricorda il Marx de II Capitale.
«Nel solco di una tradizione inaugurata dagli economisti del XK Secolo, tra cui David Ricardo e Marx, analizzo la questione distributiva e lo studio delle tendenze a lungo termine. Con una quantità di dati che copre tre secoli e venti Paesi».
Gli economisti sostenevano che il libero mercato avrebbe redistribuito la ricchezza in modo più equo...
«Forze molto consistenti tirano in direzioni opposte. A decidere quali prevarranno saranno le istituzioni e le politiche adottate. Il principale fattore di perequazione nei singoli Paesi e fra Paesi diversi è la diffusione del sapere: un processo virtuoso che però funziona grazie a istituzioni scolastiche inclusive e a grossi investimenti. A lungo termine, a promuovere la disuguaglianza è soprattutto la tendenza del tasso di ritorno del capitale “r” a superare il tasso di crescita del Pil “g”: più ciò accade e più, come nel 1800, una piccola percentuale di popolazione tende ad appropriarsi di una quota spropositata di ricchezza nazionale a spese dei ceti medi e bassi».
Perché ciò è avvenuto?
«Dal 1700 al 2012, il prodotto mondiale lordo è aumentato in media del’l,6% annuo: un 0,8 di crescita demografica, l’altro 0,8 di crescita del prodotto lordo pro capite. Ciò è bastato a moltiplicare da 600 milioni a 7 miliardi la popolazione: che, però, ha già iniziato a stabilizzarsi o a declinare in vari Paesi europei e asiatici. L’aumento della produttività invece può continuare purché si trovi energia pulita, ma non supererà 1’1-1,5%. Di contro, nei secoli i margini di profitto sono arrivati al 4 o 5%, e a valori superiori per investimenti rischiosi o grandi patrimoni azionari Secondo Forbes, i ricchissimi in Usa sono aumentati del 6-7% annuo nel periodo 1987-2013, ossia più di tre volte il benessere e il reddito pro capite a livello mondiale. La crescita demografica ha limitato l’importanza relativa della ricchezza ereditata ma sono esplosi gli stipendi dei top manager».
Per vari economisti la disuguaglianza è un bene, in Usa: incentiva il rischio e l’innovazione. E vero?
«In teoria sì; in pratica non nelle statistiche sulla produttività. La disuguaglianza negli Stati Uniti è oggi ai livelli dell’Europa nel primo decennio del 1900. Così non solo è inutile ai K fini della crescita, ma può portare al sequestro del processo politico da parte di una ridottissima élite».
La concentrazione della ricchezza nel XX Secolo è stata interrotta da guerra, iper-inflazione e crescita...
«L’ideale sarebbe una tassazione progressiva sulla ricchezza individuale, per promuoverne la mobilità e controllare la concentrazione. L’élite potrebbe bloccarla: le nostre democrazie sapranno imbrigliarle? Nell’Europa del 1900 non hanno reagito pacificamente alla disuguaglianza, fermata solo da guerre e conflitti sociali. Oggi, ampi settori dell’opinione pubblica potrebbero rivoltarsi contro la globalizzazione».