Christophe Ayad, David Revault D’Allonnes, Thomas Wieder, la Repubblica 21/8/2014, 21 agosto 2014
HOLLANDE:“NON DECIDE LA GERMANIA DA SOLA CHIEDO PIÙ FLESSIBILITÀ NELLE REGOLE DELLA UE”
[Intervista a Francois Hollande] –
I dati negativi sulla crescita, molto più debole del previsto, e sulla disoccupazione, che continua ad aumentare, non sono la prova del fallimento della sua politica economica? Non sarebbe il caso di cambiare
direzione?
«Io ho fissato una rotta - risponde il presidente francese, Francois Hollande - ed è quella del patto di responsabilità. L’obiettivo è chiaro: modernizzare la nostra economia migliorando la competitività e sostenendo sia gli investimenti che l’occupazione. Il fatto che la congiuntura sia più difficile in Francia e in Europa non significa che dobbiamo rinunciare, al contrario: bisogna procedere più velocemente e spingersi più in là. A chi dice che dobbiamo rivedere la nostra strategia in un momento in cui le misure sono appena state varante, rispondo che andare a zig-zag renderebbe incomprensibile la nostra politica e non produrrebbe risultati».
Il primo segretario del Partito socialista, Jean-Christophe Cambadélis, ha affermato di considerare «inevitabile» l’abbandono dell’obiettivo di riduzione del deficit al 3%. Lei intende mantenere questo obiettivo?
«L’obiettivo è continuare a ridurre il deficit. Voglio ricordare che il debito pubblico è passato dal 60% del Pil del 2007 al 90% del 2012: se arrivassi al 2017 con un rapporto debito/Pil del 120%, che cosa direbbero di me? Forse quello che avrebbero dovuto dire del mio predecessore… Ma oggi considero che il ritmo del risanamento dei conti pubblici in Europa debba essere adattato alla situazione eccezionale che attraversiamo, che è caratterizzata da una crescita debole e soprattutto da un’inflazione bassissima».
Ma la Germania, per voce della Bundesbank e della cancelliera, ha lasciato capire che non c’è niente da ridiscutere…
«Non è una questione bilaterale con la Germania, si tratta di un dibattito europeo. Non chiedo che si cambino le regole, chiedo che vengano applicate con tutte le flessibilità previste dai trattati in caso di circostanze eccezionali. E queste sono circostanze eccezionali».
L’euro è sopravvalutato?
«Sì. Si era rivalutato eccessivamente se si tiene conto della situazione economica dell’Europa. La Bce ne è consapevole, è in corso un riequilibrio rispetto al dollaro. Questo riequilibrio non è ancora completato».
La Francia non è mai stata così debole nel Parlamento europeo e nelle istituzioni di Bruxelles…
«Se si vota al 25% per il Fronte nazionale, un partito che non riesce nemmeno a costituire un gruppo con altri, si è più deboli nel Parlamento europeo. In compenso, per quanto riguarda la Commissione, la Francia ha chiesto un posto importante e sarà ascoltata. Quello che ci interessa è che il nostro commissario abbia poteri in campo economico».
Berlino non sembra voler accordare a Pierre Moscovici il posto di supercommissario economico che lei chiede…
«Non sono né Berlino né Parigi che decidono, è il presidente della Commissione. Io ho scelto Pierre Moscovici. Spetterà a Jean-Claude Juncker costituire la sua Commissione e distribuire le responsabilità. Juncker sa qual è il posto della Francia nell’Unione Europea e quello che la Francia può portare all’Unione Europea».
L’Ue è dominata dai conservatori e dalla Germania. Intende forgiare un asse socialdemocratico con Matteo Renzi?
«Ho rapporti politici e personali con Matteo Renzi che consentono di agire, non solamente noi due, ma insieme ad altri. La settimana prossima, a Parigi, presiederò una riunione dei socialdemocratici per far convergere le nostre posizioni. Ma sarebbe un errore costituire una coalizione contro un’altra in seno al Consiglio europeo.
I problemi non sono geografici (Sud contro Nord) e nemmeno politici (socialdemocratici contro conservatori). Il problema è sapere che cosa vogliamo fare insieme. Io sostengo Jean-Claude Juncker e i suoi progetti: il piano di investimenti da 300 miliardi di euro, la politica energetica comune, la gestione dell’immigrazione a livello europeo e infine una politica estera comune».
A proposito dell’Ucraina, ci sono state tre ondate di sanzioni contro la Russia, ma Vladimir Putin non ha cambiato atteggiamento. Che cosa bisogna
«C’è bisogno di fermezza e di dialogo. Fermezza perché l’Europa non può accettare che venga rimessa in discussione l’integrità territoriale di un Paese, perché non può tollerare la fornitura di armi e il blocco dei posti di frontiera. Le sanzioni erano necessarie, e saranno necessarie altre sanzioni ancora se non ci sarà nessuna evoluzione. Al tempo stesso, tuttavia, è necessario dialogare. L’ho dimostrato organizzando il primo incontro tra Vladimir Putin e Petro Poroscenko il 6 giugno, in Normandia. E siamo arrivati a un punto in cui è nuovamente possibile immaginare un incontro a livello di capi di Governo tra Ucraina, Russia, Francia e Germania per trovare una via d’uscita dalla crisi. Per far questo i presupposti sono l’interruzione delle forniture di armi, il cessate il fuoco, il controllo della frontiera e il dialogo politico. Angela Merkel andrà in Ucraina sabato. Anch’io sono in contatto con il presidente russo. Ci siamo parlati il 12 agosto e gli ho detto che se non ci sarà un’uscita rapida dalla crisi il costo per i russi sarà elevato, sia sul piano economico che sul piano politico».
Il costo sarà alto anche per gli europei?
«Sì. Le sanzioni comportano un prezzo anche per chi le attua, non solo per chi le subisce. L’Europa si è fatta carico di questa scelta, anche se la situazione ha delle conseguenze economiche spiacevoli. Ragione di più per trovare delle soluzioni fondate sul rispetto della sovranità dell’Ucraina ».
In Europa orientale e in Medio Oriente, la leadership americana è messa a dura prova. Secondo alcuni, Barack Obama non mostra sufficiente autorità.
«Per molto tempo ci siamo lamentati dell’iperpotenza americana e del suo interventismo sfrenato. Non possiamo certo adesso metterci a rimproverare a Barack Obama un’eccessiva timidezza. Ma la situazione internazionale, a mio parere, non è mai stata così grave dal 2001. Il mondo deve agire di conseguenza. Non è un movimento terrorista come al-Qaida che abbiamo di fronte, ma un quasi Stato terrorista, lo Stato Islamico. Non possiamo più limitarci al tradizionale dibattito su intervento o non intervento. Dobbiamo elaborare una strategia globale contro questo gruppo che si è strutturato, che può contare su armamenti molto sofisticati e minaccia Paesi come l’Iraq, la Siria o il Libano. Proporrò quindi prossimamente ai nostri partner una conferenza sulla sicurezza in Iraq e la lotta contro lo Stato Islamico».
Traduzione di Fabio Galimberti