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 2014  agosto 20 Mercoledì calendario

LA GRANDE INCOMPIUTA DI OBAMA


Un presidente solo, davanti a una sfida imprevista ma che potrebbe definire quanto resta del suo mandato alla Casa Bianca. È questo Barack Obama al cospetto della crisi di Ferguson. Una crisi che rimane aperta: l’arrivo della Guardia nazionale del Missouri nelle strade del sobborgo di St. Louis, da nove giorni sconvolte dalle proteste per l’uccisione di un giovane afroamericano per mano d’un poliziotto bianco, non ha evitato nuovi scontri e violenze, seguiti da ore di nervosa calma.
Lo spettro, per la Casa Bianca, è un "Iraq domestico", una "Katrina di Obama". Di sicuro il primo presidente afroamericano è messo alla prova su una delle sue grandi promesse, l’America post-razziale. E in un momento delicato: alla vigilia di un autunno caldo che vedrà le elezioni di metà mandato per il rinnovo del Congresso, dove il suo partito democratico potrebbe veder confermata la maggioranza repubblicana alla Camera e anche cedere all’opposizione il Senato.
Obama è alle strette tra i suoi stessi alleati. Un calo di popolarità, in politica estera e per ansie economiche difficili da scacciare, ha eroso la sua influenza. E lui ha risposto alzando la guardia e isolandosi: tanto che viene attaccato, negli stessi ranghi progressisti, come troppo incline alle iniziative solitarie. Ad affidarsi a una ristretta cerchia di fedelissimi, senza coinvolgere leader parlamentari o schiere allargate di collaboratori.
L’involuzione presidenziale è sempre in agguato al tramonto di un’amministrazione, con l’inquilino della Casa Banca che si traforma progressivamente, nel gergo di Washington, in una "lame duck", un’anatra zoppa dal diminuito potere. Ma nel caso di Obama le elevate aspettative sono diventate un’aggravante. Aspettative coltivate dall’amministrazione: in agenda Obama ha tuttora ambiziosi disegni, da una più equa ripresa economica a una riforma dell’immigrazione. Oggi queste idee sono congelate dagli eventi, oltre che dalla polarizzazione politica. Forti ondate di giovani immigrati dal Centroamerica hanno dato priorità alla protezione dei confini. Mentre l’impegno a un più diffuso rilancio economico, compreso il superamento delle barriere razziali, è stato messo in discussione dall’esplosione di rabbia e dolore a Ferguson. Un sondaggio del Pew Center ha rivelato un’opinione pubblica scossa e divisa: gli afroamericani vedono nella tragedia «importanti questioni razziali» e due terzi criticano la polizia. I bianchi molto meno.
La posta in gioco, per Obama, non potrebbe quindi essere più alta. La leadership che saprà mostrare di fronte alle proteste del piccolo sobborgo di St. Louis, 21mila residenti, va ben oltre il dramma locale. La missione è unire il Paese. Il presidente ha dato segno di essere cosciente della sfida: ha cercato toni misurati, chiedendo calma ai dimostranti e alle forze dell’ordine. Nell’ultima conferenza stampa, lunedì sera, ha ribadito che non ci sono scuse per aggressioni alla polizia. Ma che non ne esistono neppure per l’uso di forza eccessiva da parte degli agenti, perché il diritto a manifestare e quello dei mass media a riportare gli avvenimenti va protetto.
Ha anche accolto le perplessità sulla "militarizzazione" della polizia: ha promesso una revisione delle procedure di trasferimento di armi dal Pentagono alla sicurezza locale - alcune proposte sono già in Congresso - perché la distinzione tra soldati e forze dell’ordine «non deve essere offuscata». Ha preso le distanze dal governatore del Missouri, il democratico Jay Nixon, che ha chiamato la Guardia nazionale: gli ha chiesto che venga usata «in modo limitato» e giudicherà «se aiuta o danneggia» una riconciliazione. E si è fatto carico di far luce sull’uccisione del giovane Michael Brown. L’inchiesta potrebbe durare settimane o mesi, sia quella della procura locale, che potrebbe convocare un Gran Jury in queste ore, che quella federale per violazione dei diritti civili. Ma il presidente, pressato dagli eventi, ha già spedito il Ministro della Giustizia Eric Holder a seguire le indagini a Ferguson. Un sobborgo del Missouri diventato, per Obama, una nuova trincea. Da dove potrebbe iniziare una riscossa, oppure un inesorabile declino.