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 2014  agosto 20 Mercoledì calendario

L’ELICOTTERO CHE DRAGHI NON HA (E SERVIREBBE)


Non passa giorno senza che un politico, un economista o un giornalista rivolga un appello alla Banca centrale europea perché faccia qualcosa per combattere la deflazione nell’area euro. Nonostante i richiami, la Bce ha offerto solo dichiarazioni di disponibilità ad agire. Alle parole, però, non sono seguiti i fatti, e la situazione si fa ogni giorno più insostenibile. Il motivo di cotanto ritardo è duplice. Da un lato la Bce non riconosce ancora di aver fallito nella sua missione di garantire la stabilità dei prezzi.
Questo dovrebbe essere evidente: l’inflazione media europea negli ultimi 12 mesi è stata lo 0,38% e a luglio 10 dei 18 paesi dell’euro hanno fatto registrare una riduzione dei prezzi al consumo. Il Governing Council della Bce, però, ha definito la stabilità dei prezzi come «un aumento annuale dell’indice armonizzato dei prezzi dell’area euro inferiore al 2%». Come ho spiegato l’altro ieri nel mio blog, l’obiettivo di un’inflazione «al di sotto ma vicino al 2%» è solo una guida pratica della Bce per conseguire l’obiettivo della stabilità, non un obiettivo a sé stante su cui valutare il successo delle politiche. Se la Bce non agisce, è perché non si è convinta che ha l’obbligo di agire.
Il secondo motivo di questa inattività è la mancanza di strumenti. Tutti reclamano un quantitative easing, visto che in America ha funzionato. Eppure anche i migliori economisti sono in disaccordo sul motivo per cui ha funzionato negli Usa e non sono convinti che funzionerebbe in Europa. Il quantitative easing non consiste nello stampare moneta, ma nell’acquisto di titoli da parte della Banca centrale in cambio di depositi presso la Banca centrale stessa (anche chiamati riserve). Si tratta di uno scambio tra titoli e riserve. Perché mai dovrebbe stimolare la domanda aggregata e l’inflazione? Un canale è attraverso l’effetto indiretto del quantitative easing sul deficit pubblico. Riducendo il costo del debito pubblico, il quantitative easing rende meno impellente il taglio della spesa pubblica. Un altro canale è attraverso le aspettative sui tassi futuri. Di fatto il quantitative easing è una garanzia che l’aumento dei tassi avverrà tra molto tempo. Questo favorisce la speculazione finanziaria, ma - si spera - anche gli investimenti reali. Il terzo canale è attraverso la svalutazione del cambio: riducendo i tassi sui titoli, il quantitative easing favorisce la svalutazione della moneta.
Questi tre canali non funzionerebbero in Europa. L’abbassamento dei tassi nominali è già avvenuto. Difficilmente il quantitative easing potrebbe comprimerli ulteriormente. Come se non bastasse, il Fiscal Compact ha imposto piani di riduzione del deficit così aggressivi che qualsiasi effetto del quantitative easing sarebbe limitato o addirittura controproducente (perché ritarderebbe il momento in cui questi piani sono riconosciuti come insostenibili). Anche l’effetto del quantitative easing sulle aspettative future sarebbe limitato. Le aspettative sui tassi nominali futuri sono già molto basse e un po’ di quantitative easing non eliminerebbe lo spauracchio di una Bundesbank in agguato per alzare i tassi. Per finire, il quantitative easing non potrebbe avere un grosso effetto sul tasso di cambio dell’euro: i tassi nominali sui titoli in euro sono già molto bassi e difficilmente il quantitative easing produrrebbe una fuga dall’euro. Siamo dunque condannati a morire di deflazione?
Milton Friedman, che di teoria monetaria se ne intendeva, ha sempre sostenuto che una banca centrale può sempre sconfiggere la deflazione: basta che «lasci cadere il denaro da un elicottero». Ovviamente si tratta di una di quelle provocazioni di cui Friedman era maestro. Nessuno, neppure Milton, pensava di riempire gli elicotteri di banconote e di andarle a spargere al vento. Ma è una provocazione efficace per farci capire che i metodi per combattere la deflazione esistono, basta finanziare la spesa pubblica con moneta. Quello che manca è la volontà politica.
Molti saranno inorriditi da questa immagine. Non è forse per evitare follie di questo tipo che abbiamo creato una Banca centrale indipendente? Certo. Una Banca centrale non indipendente rischia di essere usata da governi senza scrupoli come un bancomat. Questa era la situazione dell’Italia prima del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. A quell’epoca l’inflazione raggiunse il 21% annuo. Dobbiamo rischiare qualcosa di simile? In mani profane il curaro è un veleno pericolosissimo. Nelle mani sapienti di un medico, però, è un valido anestetico. La soluzione non è di proibirne l’uso, ma di disciplinarlo opportunamente. Lo stesso vale per i «lanci di moneta dall’elicottero». Sono pericolosi, ma non vanno proibiti, solo disciplinati rigidamente. Purtroppo, però, la Bce è stata disegnata solo con lo scopo di prevenire l’inflazione: ci si è dimenticati del rischio di deflazione. È simile alla linea Maginot, costruita per proteggere la Francia da attacchi diretti della Germania, ma incapace di fronteggiare possibili attacchi attraverso il Belgio.
Per permettere alla Bce di combattere la deflazione c’è bisogno di una revisione del suo mandato, revisione che può essere decisa solo a livello politico. Basterebbe stabilire che quando l’inflazione europea scende al di sotto dell’1%, la Bce è autorizzata a finanziare delle spese dell’Unione. Non solo questo eviterebbe il pericolo della deflazione, ma permetterebbe al Parlamento europeo di assumere un po’ di potere, che potrebbe essere utilizzato per indurre i paesi del Sud alle riforme. Ad esempio, il Parlamento europeo potrebbe decidere di cofinanziare un meccanismo statale per favorire la mobilità del lavoro nei paesi ad alta disoccupazione.
Non tutta la spesa pubblica è fonte di corruzione e - in presenza di deflazione - il finanziamento monetario del deficit può essere il male minore. Minore di una spirale deflazione-debito che metterebbe in ginocchio il Sud Europa e porterebbe alla fine dell’euro.