Maurizio Porro, Corriere della Sera 20/8/2014, 20 agosto 2014
MAGNANI TORMENTATA NELLA CORSA AL SUCCESSO
Uno scontro di titani: da una parte Luchino Visconti, uno dei grandi registi del neo realismo melò e teatrante audace per Sartre e Williams con la Morelli e Stoppa, un nobile milanese marxista che rischiò di morire da partigiano se non l’avesse salvato una diva del regime innamorata, fresco del disastro della Terra trema ma prossimo a Senso ; dall’altra c’è Anna Magnani, scarmigliata icona di Roma città aperta , diva del varietà con Totò, musa e compagna di Rossellini, romana fino alla punta dei capelli. Insieme sfidarono i propri cattivi ma geniali caratteri girando nel ‘52 il capolavoro Bellissima storia di grande attualità, su una popolana illusa che la figlioletta possa diventare attrice del cinema in epoca in cui i miti non erano ancora la modella o l’escort.
Questa mamma Roma porta la bambina intimidita a Cinecittà, la mostra a Blasetti mentre la colonna sonora gli dà del ciarlatano, complice l’Elisir d’amore di Donizetti, litiga col marito, le fa prendere lezioni di dizione, vede anche il naufragio del matrimonio in quella casa popolare del Prenestino con balcone che dà sul cinema all’aperto dove si può vedere Il fiume rosso . Finale inaspettato rispetto al copione originario di Zavattini (anche qui un rapporto casuale, lui stava con De Sica), cambiato dagli sceneggiatori Francesco Rosi e Suso Cecchi D’Amico.
Il ritratto di una donna innanzi tutto, per Visconti, sul contesto del mondo trafficone del cinema simboleggiato dall’imbroglione Walter Chiari. Ed è anche un film che ragiona sul realismo e gli attori presi dalla strada, l’illusione di un mestiere i cui sogni sono destinati a fare i conti col quotidiano. Molti personaggi di quel mondo recitano senza cambiar nome, da Blasetti al presentatore Corrado Mantoni, dallo scenografo Mario Chiari alla montatrice Liliana Mancini, mentre l’Oscar Piero Tosi, debutta da costumista: e Cinecittà è proprio nella parte di Cinecittà.
Ma l’anima e la carne della vicenda sono la stessa persona, una Magnani premiata col Nastro d’argento, con cui Visconti voleva lavorare da tempo: «Era lei il vero soggetto, una madre moderna in un film non ottimista» disse il regista. Il pubblico? Allora solo 160 milioni, ora è cult.