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 2014  agosto 20 Mercoledì calendario

LA CENA IN TERRAZZA CON MONICA GUERRITORE


Arriva con i capelli raccolti e nemmeno un filo di trucco sul viso. Eppure, quando cammina lungo il corridoio che porta alla terrazza del ristorante Casina Valadier, gli sguardi si spostano istintivamente su di lei. C’è qualcosa di regale in Monica Guerritore. Non solo per la sua bellezza fiera, ma forse proprio per come la gente la guarda, che non c’entra solo con il riconoscere qualcuno di famoso. «Credo esista uno sguardo artistico del pubblico che racchiude il mistero di essere stati affascinati da alcuni spettacoli», prova a spiegare lei che nel frattempo si è seduta al tavolo. Mentre parla la sua apparenza un po’ severa si illumina in un sorriso sincero.
Si guarda intorno, osserva il panorama da Grande bellezza che regala il ristorante e, mentre lo fa, la sua mente sembra stia già accarezzando mille altri pensieri. Le succede di frequente, confessa mentre scorre il menu. «Mi ritrovo spesso in quello spazio di contemplazione dove tu guardi fuori dalla finestra e non sei da nessuna parte, ma dentro di te qualcosa lavora».
Gestire la fama, con questo carattere, non è stato sempre semplice. «Sapevo quanta difficoltà avevo nel dire due battute a teatro, mi sentivo negata. Il successo improvviso del cinema mi ha spaventata. Mi son detta: c’è qualcosa che non va». Arriva il primo piatto e inizia a mangiare composta, ma di gusto. Poi riprende: «Il mestiere dell’interprete si impara col tempo. Non è puro impulso o pura vocazione». E la questione del talento innato? «C’è un’attitudine che predispone al talento. La mia era legata all’elaborazione solitaria. Quando mi scrivevano sulla pagella: è troppo suggestionabile... Da un fatto creavo una storia. Il talento però l’ha scoperto Strehler».
Sul piatto il piccolo raviolo di toma non c’è più. Non sembra ossessionata dalla linea: «Mai, escluso», ride. «Dopo gli spettacoli poi, qualsiasi cosa mi portino viene spazzolata. Quando ingrasso elimino la carbonara. E amo molto anche cucinare». Farlo significa ritrovare un clima che ha vissuto troppo poco: «L’atmosfera casalinga è la mia parte mancante». Tutto per un fatto accaduto a pochi passi dal ristorante dove siede: «Avevo 11 anni e anziché essere a scuola facevo collanine con i marocchini in Piazza di Spagna. Una amica di mia mamma mi ha vista. Sono arrivata a casa e lei aveva già preparato le valigie: siamo salite su un vagone letto e il giorno dopo ero a Losanna, in un collegio inglese».
Una mamma di carattere... «È stata la mia salvezza. Se penso alla fine che hanno fatto tanti miei amici. La droga poteva diventare un problema». Non c’è traccia di rancore. Anche perché «penso che l’educazione debba essere affidata agli estranei, così non subentra il problema affettivo». Come ricorda il collegio? «C’erano ragazze da tutto il mondo: le mie curiosità si ampliavano. Ma c’è un orario, l’ho scoperto qualche anno fa, in cui mi viene una grande malinconia. Tra le cinque e le sette di sera. Poi ho capito che era quando in Svizzera, finiti i compiti, si era liberi. A quell’ora avevo nostalgia di casa».
Di una famiglia non convenzionale e importantissima: «Due anni fa ho perso i miei genitori: un vuoto cosmico. Avevano divorziato presto e con mio padre avevo recuperato i rapporti da una decina d’anni. Ho dovuto comunicargli io che mia madre era morta. Non era malato, ma dopo dieci giorni è morto anche lui. Mi son detta: non è possibile, si aspettavano».
L’ultima volta in cui l’attrice li ha visti assieme, racconta giocando con il vino rosso, facendolo girare nel bicchiere, è stata al suo debutto a teatro: «Era la prima del Giardino dei ciliegi . Avevo 16 anni, ho aperto il sipario e li ho visti: non succedeva da anni. Mi sono bloccata, non volevo più entrare in scena. Arrivò Strehler, mi prese per un braccio, mi diede un manrovescio e disse: vai dentro».
Un altro momento indimenticabile: la prima volta che vide Gabriele Lavia. «Recitava in Amleto : ricordo la forza che emanava, anarchica, la pulizia del pensiero. Mi aveva stravolta. Gli ho scritto un biglietto: se mai avessi bisogno di me questo è il mio numero. Lui ha pensato a uno scherzo e l’ha stracciato».
Si sono ritrovati comunque, sposati e sono diventati genitori di due ragazze. Ora l’attrice è sposata con Roberto Zaccaria («un uomo risolto»), ma fin dai primi amori è stata «attraversata da passioni contrastanti. Devo dire ancora grazie a mia madre che, amando l’oroscopo, stemperava tutto col passaggio dei pianeti. Se una storia andava male, mi diceva: mettiti il cuore in pace, fino al 27 giugno non succederà nulla perché Marte è opposto. E mi rasserenavo: non era colpa mia, ma di un pianeta». I discorsi scorrono veloci. L’attrice è una di quelle persone che è bello ascoltare non solo per quello che dice ma per come lo dice. Forse per questo è stata scelta come presidente di giuria del Campiello: «Mi ha fatto piacere che un’istituzione così importante mi abbia affidato la giuria. Da 40 anni ho a che fare con i testi più importanti della letteratura mondiale. Ho aperto tutte le scatole arrivate: anche da un e-book auto prodotto può uscire qualcosa di inatteso». Dolce? Chiede la cameriera. «Certo», nessuna esitazione. Poi riprende: «Voglio cercare di capire, tutto, sempre. Ma non puoi fare una colpa a chi non è così». Però diventa forse più complicato sentirsi capiti, no? «Dipende. Ogni periodo ha una persona che lo interpreta accanto a te. Si è in divenire ed è difficile che due lo siano nello stesso modo». E se poi le cose alla fine non vanno, dev’essere pur colpa di qualche pianeta.