Paolo Conti, Corriere della Sera 20/8/2014, 20 agosto 2014
LE SOPRASCARPE DI PAGLIA DEI SOLDATI ALLA MOSTRA SULLA GRANDE GUERRA
«Esporre certi reperti significa proporre una forte esperienza emotiva. Vuol dire modificare la distanza, la lontananza con la quale guardiamo alla Prima Guerra Mondiale. Perché quegli oggetti ci mettono in diretto e immediato contatto con i morti sul fronte di un secolo fa».
Nicoletta Boschiero ha il compito di coordinare, accanto a Denis Isaia con Ilaria Cimonetti, il vasto gruppo di studiosi che sta mettendo a punto al Mart, il Museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto diretto da Cristiana Collu e presieduto da Ilaria Vescovi, l’articolata mostra «La guerra che verrà non è la prima», interamente dedicata al primo conflitto mondiale e che sarà inaugurata il 4 ottobre. La scommessa, sulla carta, è inedita e molto intrigante: dar vita a un palinsesto narrativo, con un progetto di allestimento firmato da Martì Guixé, in cui il racconto sulla guerra e della guerra (filmati, foto, testimonianze, manifesti, corrispondenze, diari, materiale bellico, installazioni sonore, oggetti personali e di vita quotidiana) si intrecci con il riflesso che quegli anni tragici ebbero nell’arte: Giacomo Balla, Anselmo Bucci, Fortunato Depero, Gino Severini (solo per citare opere provenienti dalle collezioni del Mart) ma anche Marc Chagall, Arturo Martini, Mario Sironi, Max Beckmann, Pietro Morando, Osvaldo Licini e molti altri. Altro capitolo sarà il pensiero ricorrente sulla guerra e «sulle» guerre di molti artisti del nostro tempo: Enrico Baj, Alberto Burri, Alighiero Boetti, Lida Abdul e così via.
Ed eccoci al punto, alla scommessa. Il Mart esporrà, in un percorso che Nicoletta Boschiero definisce «in tutto simile a una Via Crucis», circa cinquecento reperti provenienti da veri e propri scavi realizzati nelle zone del fronte: le coperture di paglia anti-ghiaccio usate dai soldati al fronte per proteggere gli scarponi, le posate personali, le gavette, le coperte, le armi e le cartuccere, gli elmetti, le valigie e poi i piccoli mezzi di trasporto usati per gli armamenti nelle trincee. Sono il tragico, umanissimo frutto di quel capitolo di «Archeologia della Grande Guerra», com’è stato definito dagli studiosi, realizzato a Punta Linke, nel gruppo Ortles-Cevedale, a 3.629 metri di altezza, una delle postazioni più alte e importanti dell’allora Impero austro-ungarico. La Punta venne abbandonata con la fine della guerra e il ghiaccio ne ha favorito per decenni la conservazione. Ma il riscaldamento globale e il conseguente, rapido scioglimento di tanti ghiacciai alpini ha portato, in modo repentino, all’affioramento di numerosi resti.
E così dal 2009 in poi l’Ufficio Beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento, diretto da Franco Nicolis, è intervenuto (in collaborazione con il museo «Pejo 1914-1918 La Guerra sulla porta») per recuperare molti reperti usciti dal ghiaccio e che rischiavano il saccheggio, o comunque il degrado. Alla difficile operazione, come ricostruisce Franco Nicolis, hanno contribuito le Guide alpine del Trentino (per l’estrema difficoltà di accesso al sito) e una équipe di glaciologi, alcuni impegnati nel Programma nazionale di ricerche in Antartide. Il 12 luglio scorso il sito di Punta Linke è stato inaugurato per restituire alla memoria collettiva un luogo pressoché intatto in cui si combattè la Prima Guerra Mondiale.
Il ghiaccio, nei decenni, ha permesso di conservare perfettamente molte suppellettili. Soprattutto ha consentito di restituire l’intera baracca del doppio impianto teleferico che collegava da una parte al fondovalle di Pejo e dall’altra al Coston delle barache brusade verso il Palon de la Mare, nel cuore del ghiacciaio dei Forni. Il vicino Rifugio Mantova al Vioz era la sede del comando di settore dell’esercito austro-ungarico.
Molti degli oggetti trovati verranno esposti nella mostra al Mart che porta un titolo («La guerra che verrà non sarà la prima») ricavato dalla famosa poesia di Bertolt Brecht che contiene un rinvio sia all’idea generale di conflitto che e al concetto di «Prima». Dice ancora Nicoletta Boschiero: «Si tratta di oggetti inediti e non musealizzati, in tutto circa cinquecento, che mantengono una loro intrinseca immediatezza e quindi cancellano la ritualità e il distacco che si rischia in certe occasioni. Per questo, ripeto, l’esperimento modificherà la lontananza con la quale osserviamo l’evento. Prendiamo le soprascarpe di paglia: ci portano a immaginare senza mediazioni quanto difficile e angosciosa fosse la condizione di quei soldati. Guardandole con attenzione, possiamo addirittura vedere come quei reperti non si discostino poi moltissimo, nella loro fattura, da quelle trovate indosso a Ötzi, l’uomo del Similaun, e parliamo di un individuo vissuto tra il 3.300 e il 3.100 avanti Cristo, anche lui ritrovato tra i ghiacci, quelli del Similaun».
E basta guardare le foto sul sito del Museo Archeologico dell’Alto Adige a Bolzano, dove è conservata la mummia grazie ad avanguardistici mezzi tecnici, per scoprire che l’intuizione di Nicoletta Boschiero è drammaticamente vera. Anzi verissima.