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 2014  agosto 20 Mercoledì calendario

L’EPICENTRO DEL NUOVO CONFLITTO NELLE DIVISIONI DEL MONDO ISLAMICO

È senza alcun dubbio un’immagine dalla forte potenza evocativa quella impiegata da Papa Francesco durante il suo viaggio di ritorno dalla Corea di una «Terza guerra mon­diale combattuta a pezzetti», al punto da aver con­quistato i titoli di testa in molti dei quotidiani in edicola ieri. Anche dal punto di vista concettua­le, però, l’espressione è più che pregnante e, so­prattutto, rimanda a due tendenze che concor­rono a disegnare l’attuale fase del sistema inter­nazionale: la prima rappresentata dal declino del­l’ordine e della centralità occidentali, la seconda costituita dall’ascesa del mondo islamico come e­picentro principale del disordine.
L’attuale stagione dell’ordine internazionale sta registrando ormai il pressoché totale esaurimen­to della sua fase ultima, quella realizzata attra­verso i due conflitti mondiali e poi stabilizzata at­traverso la Guerra fredda e l’equilibrio del terro­re termonucleare sovietico-americano. Persino i decenni definiti come «post-Guerra fredda», e la temporanea egemonia americana sull’intero mondo globalizzato, sono in realtà stati l’estremo spin-off, un’ultima conseguenza, di quell’ordine novecentesco. Il «declino dell’ Occidente» impli­ca il venire meno della centralità europea che ne­gli ultimi tre secoli e mezzo si era progressiva­mente affermata, non solo e non tanto in nome di una logica ’imperialista’, ma innanzitutto co­me stipite e centro regolativo del sistema. I due conflitti mondiali e la Guerra fredda segnano la su­blimazione ’occidentale’ di una centralità euro­pea in via di esaurimento, che oggi è ormai esau­sta di fronte alla pressione del mondo. Non è un caso che l’istituzione che dalla logica dei conflit­ti intra-europei (mondializzati) è sorta - le Nazio­ni Unite - stia oggi attraversando una fase di crisi parallela a quella dell’ordine politico che l’aveva generata.
In questo progressivo vuoto di potere, che l’in­termittente attivismo militare americano e il bal­bettante presenzialismo oratorio europeo a sten­to mimetizzano, altre regioni impongono le pro­prie divisioni e i propri conflitti al centro della ri­balta. Tra le tante, quella maggiormente a rischio di dare avvio a un contagio molto peggiore di quello legato al virus dell’ebola, è la vasta regio­ne in cui la religione islamica è maggioritaria o comunque dominante. Non è qualcosa che ab­bia a che vedere con il messaggio coranico in sé (ci mancherebbe altro) e neppure con presunte differenze di civilizzazione. Ma è un fatto che le divisioni che oggi rischiano di trascinare il mon­do in una spirale di conflitti infiniti e selvaggi si trovano all’interno di quel mondo e nelle aree in cui esso insiste. Se nel 1914 ciò che fece defla­grare un sistema in cui gli imperi erano ancora una realtà (per quanto diversificata: l’impero bri­tannico e quello russo, quello ottomano e quel­lo asburgico, quello tedesco e l’impero colonia­le francese) fu la scintilla del nazionalismo bal­canico, oggi è il conflitto tra sciiti e sunniti, insie­me alla fitna (la lacerazione) intra-sunnita, che tende a trascinare l’Occidente e il mondo in guer­ra. In altri termini, l’epicentro della ’Terza guer­ra mondiale’ è oggi esterno all’Occidente e alle tradizionali rivalità tra grandi potenze, mentre è interno al mondo musulmano e contrassegnato dalla lotta per far emergere nuove forme di ag­gregazione politica diverse e ostili all’ordine fon­dato sulla statualità di matrice (e importazio­ne/ imposizione) occidentale. È proprio la mutata natura degli attori che si pro­pongono di sfidare le regole del declinante ordi­ne occidentale a doverci inquietare maggior­mente. Non sarà l’abborracciato e sanguinario califfato dello ’Stato islamico’ a prendere il posto degli Stati sorti negli anni 30 del secolo scorso nel Levante. Probabilmente altre e più raffinate for­me di aggregazione politica - meno escludenti e meno settarie, e invece più includenti e capaci di mobilitare estese risorse di lealtà politica e ap­partenenza come per secoli han fatto gli Stati di modello euro-occidentale - prenderanno il posto degli attuali Stati mediorientali e dello stesso neo­califfato. Ma resta il fatto che, in questa fase, lo zelo religioso che si serve del­la politica, che strumentalizza il po­tere politico a fini ultra-politici, sta infiammando quel mondo a par­tire dalle sue regioni più tradi­zionalmente instabili.
Insisto su un fatto: pensare che al-Baghdadi e quelli come lui siano interes­sati al potere in sé e utilizzino la religione in ma­niera strumentale è fuorviante. È semmai vero l’e­satto contrario. Dobbiamo abituarci a prendere molto sul serio i moventi religiosi dell’azione po­litica. Che poi l’interpretazione della religione i­slamica da parte dei tagliagole dell’Isis sia ’una’ delle tante possibili, oltre che essere ragionevol­mente la peggiore, è un altro paio di maniche. È questo che sta trasformando la differenza tra scii­ti e sunniti (che esiste da circa 1.300 anni) in un ’conflitto’: interno al mondo islamico, ma capa­ce di coinvolgere tutti nel suo divampare. E di que­sto occorre ringraziare tutti quelli che nell’area, in tempi e modi diversi, hanno concorso a ’infiam­mare’ il discorso religioso attraverso la sua decli­nazione ’zelota’, saturando il discorso politico di riferimenti religiosi fondamentalisti: i sauditi, i qatarini e le varie monarchie sunnite del Golfo, certo; ma anche la Repubblica i­slamica dell’Iran che resta l’esempio realizzato di teocrazia contemporanea, e persino lo Stato di Israele, ancora lai­co eppure sempre più confessio­nalizzato.