Mattia Feltri, La Stampa 20/8/2014, 20 agosto 2014
DALLE BANANE AGLI ASSET, IL TAVECCHIESE SI RINNOVA MA LE IDEE RESTANO SUL FONDO
Quando il nuovo presidente della Figc, Carlo Tavecchio, ha detto che «il treno passa una volta sola, ed è una cosa reciproca», si è capito che il nuovo corso del calcio italiano avrebbe avuto un’applicazione almeno nella sfera lessicale.
Ci si rende conto che il possesso della lingua è cosa utile, ma forse non così decisiva nelle questioni agonistiche, e però sarà complicato decifrare il pensiero di questo pacioso e garbato signore, che passa dai «negretti» mangiatori di «banane» ai «rapporti sinergici», agli «asset» che sono «forieri di prestigio», e qui e là, fra un «paventa sciagura» e un «abbiamo creato un valore aggiunto», offre dei «brand», delle «academy», punta al «surplus». Tracce di italiano, gocce di latino, spruzzate di inglese, un tocco di vernacolare da ammazzacaffè, mettete tutto in uno shaker, scuotete vigorosamente e viene fuori il tavecchiese, idioma capace di produrre simili cortocircuiti logici: «Il contratto è un mix tra innovazione e recessione». Non per niente in prima fila sedeva Claudio Lotito, vigoroso sostenitore del presidente, che segnalava apprezzamento alzando il pollice alla Fonzie: tutto ok, Carlo, perfetto Carlo, alla grande Carlo. Quasi come se la grande tattica del football moderno fosse l’intraducibilità, elevata da Lotito ad arte a furia di «bisogna dare giudizi alla fine, non nella fase endoprocedimentale» e di «io stabilisco un indirizzo: il metodo è la sinestesia». Dopo di che, se vogliamo consolarci, la conversazione con lui riesce sempre piuttosto labirintica ma, da presidente della Lazio, Lotito ha regolarmente piazzato la squadra nella parte sinistra della classifica con gli scarti degli altri (o quasi). Se Tavecchio fosse altrettanto abile, saremmo a posto.
E poi si ammette che non sarà una conferenza stampa di esordio e di presentazione la sede ideale per tratteggiare strategie e indicare obiettivi; non sarà stata l’occasione adeguata perché Tavecchio si lasciasse andare, dopo settimane di fuoco a tappeto a causa del suo disinvolto vocabolario; non sarà stata quella buona nemmeno per Antonio Conte, visto che davanti ai suoi quattro milioni di euro di ingaggio è schierato il plotone d’esecuzione in attesa della prima mossa falsa; non è insomma da questi riti che si valutano le persone: basterà vincere o perdere la prima amichevole (con l’Olanda fra un paio di settimane) perché le sentenze siano pronunciate. E però la chiacchierata di un’ora del presidente della Federazione e del commissario tecnico della nazionale ha avuto momenti sedativi, tutta una dissertazione programmatica - qui a carico di Conte - a base di giocherà chi meriterà, la nazionale è un privilegio, non sono i moduli che contano, ci vuole attaccamento alla maglia, e mancavano soltanto barbe al palo e gol dedicati al mister per sublimare la prudenza da gatto svizzero esibita ieri dal tecnico.
Dunque, in che diavolo consiste questo benedetto nuovo corso? Boh. Si è intuito che il selezionatore convocherà dei giocatori, a suo giudizio esclusivo i più meritevoli, ne farà giocare undici, due o tre entreranno per i cambi, e si vedrà il risultato. Ah, e poi si ascolterà un’approssimazione di commento di Tavecchio all’intervallo. Magari tutto funzionerà benissimo - auguri sinceri - ma non pare precisamente rivoluzionario. Il segno del cambiamento parrebbe esaurito nel termine cantera - pronunciato due volte, una volta per ognuno - che è un modo à la page, o ex à la page, per dire vivaio. Eppure dopo l’eliminazione al primo turno ai mondiali, e per la seconda volta consecutiva, si era detto che c’era da cambiare tutto, stranieri, frontiere, giovani, rapporti fra club e nazionale, fra nazionale maggiore e nazionali giovanili, soltanto per citare l’abbrivio dell’elenco. Sarebbero bastate un paio di ideuzze, un paio suggestioni più solide dei sacrosanti propositi di Conte di «trasformare in squadra un insieme di elementi», di «ridurre il gap», di preferire la vittoria alla sconfitta (ed è già qualcosa), e la conferenza stampa non sarebbe sembrata una conferenza stampa di quarant’anni fa, con toni di quarant’anni fa, equilibrismi di quarant’anni fa, sorrisetti di quarant’anni fa, persino il buffet finale coi salatini, tutto perfettamente adeguato a una Federazione che si chiama ancora «giuoco calcio».