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 2014  agosto 20 Mercoledì calendario

«VIVIAMO SUL TEVERE COME ADAMO ED EVA PRIMA DEL PECCATO»

Giulio Bendandi lo dice a modo suo: «Perché vivo sul Tevere? Perché sono rimasto incantato da questo posto meraviglioso. È il centro di Roma e sei come Adamo prima del peccato! Ti trovi ad undici metri dalla città e ti fai la doccia in mutande: a Roma ti denuncerebbero per atti osceni». Erica Banchi, attrice, protagonista della fiction tv «Paura di amare», usa parole diverse, ma il senso è la stesso: «Mi piace che sia un posto costruito manualmente da mio padre, mi piace il silenzio che c’è, mi piace essere nel centro di Roma e non sentirlo, mi piace la vicinanza con l’acqua, mi piacciono gli animali liberi».
Sono i nuovi fiumaroli, quelli che hanno casa sul Tevere e ci vivono anche, felici, a dispetto di piene e disagi. Nulla a che vedere con i fiumaroli del passato, pescatori di anguille, persone che conoscevano il fiume metro per metro, e non molto di più. Quelli di oggi sono ex dj, giornalisti, gente di spettacolo, skipper, medici, persone che girano il mondo, o semplicemente l’Italia, che leggono, che vivono nella realtà, ma osservandola da una prospettiva diversa, dieci metri al di sotto della strada.
È l’altezza dei muraglioni costruiti un secolo fa per combattere le piene che, in quell’epoca, quando arrivavano, allagavano buona parte del centro di Roma. Dieci metri, la distanza perfetta: rumori e folle restano lontani ma bastano pochi passi per tornarvi.
In totale sono in sei ad avere casa sul Tevere, e una ventina ad avere barconi con circoli, associazioni, ristoranti. Il decano è Giulio, ex dj, quarant’anni di vita sul Tevere, scoperto grazie al padre che aprì un ristorante sulla stessa banchina dove ora abita. È lui a meritare in pieno il titolo di fiumarolo perché delle acque tra ponte Milvio e ponte Castel sant’Angelo è il re. Non c’è nulla che accada in questo tratto di fiume che gli sfugga: che si tratti di un film da girare o di un barcone da soccorrere, il primo a essere chiamato è lui.
Il suo Tevere è vita, lavoro, passione. Vive in un barcone all’altezza della Passeggiata di Ripetta dove la prua è ingombra di biciclette e la poppa di vasi di basilico. All’interno un salone, stanza da letto e cucinino, vista sul verde e sull’acqua lenta del fiume. «Zanzare? Quelle vivono solo ai Parioli», assicura.
Poche decine di metri più a nord galleggia il barcone di Renzo e Mariella Banchi, oggi in pensione, lui dopo una vita trascorsa a lavorare nelle aziende, lei come vice - primario in ospedale. Casa costruita da Renzo, con pazienza dopo aver visto bruciata in un incendio la prima che aveva realizzato: quattro stanze, una cucina, un enorme salone occupato da un circolo velico, un pianoforte e 1600 libri coccolati, volume per volume dal suo proprietario. Più a sud, verso Castel sant’Angelo, vivono gli altri.
«Siamo pochi e molto uniti - racconta Giulio - Ognuno fa qualcosa. Adesso è agosto: l’associazione Marevivo che ha la sua sede su uno dei barconi è in ferie, Gwerin che fa lo skipper è via per lavoro ed ha lasciato qui la sua fidanzata. Mi hanno detto: butta un occhio. E io controllo loro, le banchine, le barche. E, se non ci sono io, c’è qualcun altro di noi che lo fa. La nostra è una specie di guardiania comune». Non sarebbe possibile altrimenti vivere qui. «Il fiume è abbandonato dalle istituzioni».
Non bisogna farsi ingannare dai libri di Renzo Banchi nè dal pianoforte che Erica si rifugia a suonare qui, circondata dal silenzio, tra una parte e l’altra. Abitare sul Tevere vuol dire sapere tutto sulle cime, gli attracchi, gli ormeggi. Vuol dire sapersi orientare nel ginepraio delle decine di competenze che gravano sul fiume e non perdersi d’animo durante le piene, quando le regole prevedono che non si debba abbandonare la barca ma le banchine scompaiono sotto l’acqua e bisogna andare comunque a cercare una via d’uscita. Vuol dire fare tutto da soli.
«Solo una volta è arrivato qualcuno a liberarci dal fango - racconta Laura Gentile, responsabile progetti di Marevivo - E di piene ormai ce n’è una ogni anno. Oltre al fango puliamo erbacce, rifiuti, tutto quello che viene scaricato sulle banchine».
Come ogni paradiso ha un suo prezzo. Anche in senso non metaforico. La concessione non costa molto, un migliaio circa di euro l’anno, ma i danni delle piene possono raggiungere cifre notevoli. Eppure a desiderare una barca sul Tevere sarebbero in molti ma gli aspiranti fiumaroli ancora per qualche tempo rimarranno tali: le nuove concessioni sono bloccate.