Greg Williams, GQ 8/2014, 19 agosto 2014
CACCIATORI DI VIRUS
Il 16 novembre 2002, un uomo di 45 anni venne ricoverato all’ospedale di Foshan, nella regione cinese del Guangdong. Presentava i sintomi della polmonite: febbre alta, dolori muscolari, tosse e difficoltà respiratorie. Di lì a poco, altri quattro familiari del paziente si ammalarono con sintomi simili. Tre settimane dopo, nella vicina Heyuan, un uomo di 35 anni fu trasferito da casa sua all’ospedale provinciale di Guangzhou. Contagiò il dottore che lo aveva accompagnato in ambulanza e i sette medici dell’équipe che si era occupata delle sue cure. Di qualunque malattia si trattasse, era altamente contagiosa: gli antibiotici erano inefficaci, sicché l’unica strategia clinica possibile consisteva nel cercare di tener vivo il paziente, nella speranza che il suo sistema immunitario reagisse al male.
Nei mesi seguenti si ebbero altri focolai un po’ in tutta la città di Guangzhou, ma i medici, per quanto ben consapevoli della pericolosità di questa nuova malattia, così violentemente contagiosa, brancolavano nel buio riguardo alle possibili cause.
Secondo David Quammen, autore del libro Spillover, nel giro di qualche altra settimana 28 casi furono segnalati a Zhongshan, 95 chilometri a sud di Guangzhou. I sintomi erano simili a quelli dei casi precedenti e comprendevano «tosse grave e persistente, espettorazione sanguinolenta e progressivo deterioramento dei polmoni, che tendevano a irrigidirsi e a riempirsi di fluido, causando deprivazione di ossigeno che, in alcuni casi, dava luogo ad arresto degli organi vitali e al decesso».
Poi l’epidemia prese davvero piede: due “super diffusori” la sparsero al di là dei confini entro cui si era manifestata fino a quel momento. Il primo, Zhou Zuofeng, arrivò all’ospedale di Guangzhou con sintomi ora ben noti al personale medico. Contagiò almeno 30 operatori sanitari prima di essere trasferito in una struttura specializzata. Lungo il tragitto infettò due medici, due infermieri e l’autista dell’ambulanza. Al secondo ospedale, 23 persone, tra medici e infermieri, altre 18 tra pazienti già ricoverati e loro parenti, più 19 familiari di Zhou si ammalarono, inducendo il personale dell’istituto a ribattezzarlo “il Re Veleno”.
Il 21 febbraio 2001, il nefrologo Lhi Jianlun, uno dei medici che avevano curato Zhou, si recò a Hong Kong per presenziare al matrimonio di un nipote. Durante il suo soggiorno infettò involontariamente un numero imprecisato di persone che occupavano le stanze d’hotel al suo stesso piano. Una di queste era una donna canadese di 78 anni che il 22 febbraio prese un volo diretto a Toronto. Undici giorni dopo sarebbe morta, non senza aver trasmesso la malattia al figlio. Il virus, a quel punto, si diffuse in tutto l’ospedale in cui era stata ricoverata. Gli scienziati, però, non avevano appigli: sapevano soltanto che la malattia era altamente contagiosa, che faceva ammalare gravemente chi la contraeva e che tra i contagiati i morti si contavano a decine. Non c’erano farmaci efficaci: la cura si limitava alla somministrazione di steroidi per ridurre l’infiammazione dei polmoni.
II 12 marzo, l’Organizzazione mondiale della sanità, a seguito della notizia della morte, a Hanoi, di uno dei suoi principali epidemiologi, diramò un allarme sanitario globale per quella che denominò Severe Acute Respiratory Syndrome (Sars, sindrome respiratoria acuta grave). Era la prima volta che l’Oms adottava un provvedimento del genere. Il microrganismo responsabile della malattia non era ancora stato identificato, ma si era creata una collaborazione senza precedenti tra i laboratori di ricerca di tutto il mondo per condividere le risorse disponibili. Un mese dopo, un’équipe di Vancouver annunciò di aver decodificato il Dna del virus. Alla fine, le misure di salute pubblica adottate nel mondo riuscirono a contenere la diffusione della Sars.
L’epidemia del 2003 infettò 8.096 persone in tutto il pianeta, uccidendone 774. Non si tratta di cifre tanto significative se confrontate con quelle di altre pandemie, ma ha offerto al mondo ormai globalizzato un esempio di come un focolaio di una malattia mortale possa passare da un continente all’altro. Un tempo, gli agenti patogeni potevano diffondersi soltanto alla velocità del passo umano. Ora possono trasferirsi da un capo all’altro della Terra in meno di ventiquattr’ore, e ciò significa che l’individuazione precoce può fare la differenza tra un problema locale facilmente risolvibile e una pericolosa pandemia globale.
«Se si riesce a individuare un virus nel suo primo periodo di incubazione», dice l’epidemiologo Larry Brilliant, «si registreranno sì e no cinque casi... E tutto finisce lì». A 70 anni Brilliant è un grande esperto in fatto di diffusione delle malattie, avendo diretto l’équipe dell’Oms che ha sradicato il vaiolo nell’Asia meridionale. La sua missione, ora, consiste nell’unire le forze dei diversi governi, del settore privato e dei cittadini, per sviluppare strumenti digitali capaci di individuare in tempo i focolai. I quattro mesi che la comunità sanitaria globale ha impiegato per mobilitarsi dopo l’esplosione della Sars potrebbero rivelarsi catastrofici nel caso emergesse una malattia molto più virulenta. L’epidemiologo è molto chiaro sulla posta in gioco: «Siamo in corsa contro il tempo». Brilliant è presidente dello Skoll Global Threats Fund (Sgtf), un’organizzazione finanziata dal miliardario Jeff Skoll, cofondatore di eBay, che si propone di combattere le minacce incombenti sull’umanità. E a capo di un team specializzato in pandemie, formato da Mark Smolinski e Jennifer Olsen. Gli epidemiologi usano spesso il termine “zoonotico” per riferirsi a malattie trasmissibili tra umani e animali. Ritengono infatti, senza eccezioni, che la prossima pandemia globale deriverà dal sangue di qualche animale selvatico. Si tratterà magari di un maiale morso da un pipistrello in Thailandia o di una scimmia uccisa e mangiata nella foresta pluviale del Camerun. La deforestazione e l’urbanizzazione stanno portando gli umani a contatto con specie e virus che erano, fino a poco tempo fa, parte di ecosistemi remoti.
Questo contatto ravvicinato, ora, offre ad agenti patogeni sconosciuti l’opportunità di migrare in nuove specie: gli esseri umani, per esempio. «Chi pensa che lo scambio di fluidi vitali nel rapporto sessuale sia il modo più intimo di trasmettere materiale genetico si sbaglia», afferma Brilliant. «Il contatto più intimo con un’altra creatura si stabilisce mangiandola».
Gli obiettivi fondamentali dell’équipe anti-pandemie del Sgtf sono la rapida individuazione dei focolai, la verifica della loro reale pericolosità e la creazione della rete di persone più competenti a discutere la situazione. Le informazioni necessarie possono essere attinte da una molteplicità di fonti di dominio pubblico: riferimenti in notizie o articoli, ricerche internet, social media, immagini via satellite dei parcheggi degli ospedali (per vedere se si registra un brusco aumento del numero dei veicoli), monitoraggio delle vendite di biglietti dei cinema per cogliere eventuali improvvise diminuzioni.
La crescente diffusione di tecnologie mobili nel mondo in via di sviluppo fa sì che sempre più spesso le autorità sanitarie creino piattaforme digitali tramite cui raccogliere dati. Uno dei progetti di cui l’équipe si occupa in Thailandia è chiamato DoctorMe: in sostanza, una app gratuita per telefonino dedicata alla salute personale. «In Cambogia stiamo lavorando con un gruppo che ha un sistema di raccolta dati vocale», spiega Olsen. «In questo modo, se un abitante di una zona rurale dispone di un semplice telefono che non spedisce sms o è dotato di caratteri troppo complicati per digitare, si adotta un menù numerato: “Premi 1 se hai un’auto; premi 2 se hai la febbre”».
«Nel 2005 l’Oms cominciò a comprendere che questi sistemi di sorveglianza sanitaria digitale erano, in effetti, più potenti dei sistemi di notifica abituali o del vago aneddoto riferito da un ministro della Sanità», dice Brilliant. «Ora, invece, ogni persona dotata di spirito di iniziativa è in grado di contribuire». Il più conosciuto di questi sistemi è forse Google Flu Trends, che Brilliant e Smolinski progettarono ai tempi in cui lavoravano per Google.org, la branca filantropica del gigante tecnologico. La lasciarono nell’aprile 2009 e, passati al Sgtf, decisero di concentrarsi sulla sorveglianza partecipativa: in pratica, sulla gente che si iscrive e fornisce informazioni. Tra queste iniziative la più nota è Flu Near You, una piattaforma statunitense che consente agli utenti di partecipare a un breve sondaggio per monitorare la presenza di epidemie di influenza nelle proprie aree. Lo Skoll Global Threats Fund ha offerto un finanziamento di 1,125 milioni di dollari al Connecting Organizations for Regional Disease Surveillance, un’organizzazione non governativa dotata di sei reti regionali di monitoraggio sanitario per l’individuazione precoce di focolai epidemici mediante condivisione di dati. Le malattie potranno anche viaggiare alla velocità di un Boeing 777, ma i dati possono essere ancora più rapidi.
La vita di Larry Brilliant ricorda quella dello Zelig di Woody Allen. Militante per i diritti civili alla University of Michigan, conobbe Martin Luther King nel 1962. Fu la coscienza civile a spingerlo verso una carriera nella sanità pubblica. Poi, a 26 anni, scoprì di avere una forma molto rara di cancro. Operato con successo, durante la convalescenza raggiunse Alcatraz per aiutare a partorire una delle native americane che avevano occupato l’isola per protesta. Finì a Londra e più tardi su un autobus diretto verso quello che ora è il Bangladesh per soccorrere la popolazione colpita da un terribile uragano. Il gruppo, però, non ebbe il permesso di entrare nel Paese e deviò verso Katmandu.
Lì, Brilliant e sua moglie Girija andarono a vivere in un ashram e conobbero Steve Jobs («Scalzo e con la testa rasata»), di cui Brilliant rimase amico fino alla fine. Anni dopo fu tra i primi investitori in una società fondata da Jobs e chiamata Apple. Brilliant e Girija restarono all’ashram per due anni, dopo di che il guru gli annunciò che il suo destino era quello di contribuire alle cure del vaiolo. «Anche se non sapevo neanche che esistesse il problema del vaiolo», ricorda oggi.
Così lasciò l’ashram e fu assunto dall’Oms, dove incontrò Bill Foege, responsabile del programma per sradicare il vaiolo. Per riuscirci l’Oms doveva identificare ogni singolo caso: se ne fosse sfuggito anche uno solo, c’era il rischio che la malattia tornasse a diffondersi. Gli operatori sanitari fecero più di un miliardo di telefonate, visitando una volta al mese tutte le abitazioni in India. Nell’ottobre 1977, sull’isola di Bhola, Brilliant vide l’ultimo caso di vaiolo registrato. Fu la prima – e finora resta l’unica – malattia umana eradicata.
Ma gli episodi degni di nota della vita di Larry Brilliant non sono certo finiti qui. A seguito di un incontro casuale con il drammaturgo Arthur Miller si uni alla delegazione che negoziava con il leader dei vietcong Mai Van Bo la fine della guerra in Vietnam; ha creato una delle prime società di internet e fondato una delle prime comunità della rete; è stato addirittura il medico personale di Jerry Garcia, leader dei Grateful Dead...
Quando è a Bangkok, ama passeggiare per il mercato antiquario di River City. Colleziona arte dell’Asia meridionale e soppesa il materiale in vendita – ceramiche invetriate, terrecotte khmer, bronzi islamici e vasellame afghano – con occhio attentissimo. Grazie al suo hindi fluente colpisce e affascina un gran numero di venditori. Questi, appurata la competenza del cliente, lo invitano nei loro retrobottega e scambiano con lui biglietti da visita, soffermandosi in conversazioni sul mercato dell’arte contemporanea.
«La mia vita non ha un senso», dice salendo a bordo di un assurdo taxi rosa sgargiante di Bangkok. «Provo simpatia per le persone, e la mia risposta a tutto, nella vita, sta nel dire sempre di sì».