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 2014  agosto 19 Martedì calendario

PERISCOPIO


I referendum sono in auge dappertutto: fino al 1900 ne vennero celebrati 71; nel mezzo secolo successivo se ne aggiunsero altri 197; ma nel mondo si sono tenuti 531 referendum dal 1951 al 1993, e ormai sono innumerevoli, non basta il pallottoliere per contarli. Michele Ainis, Corsera.

L’islamismo aggredì per secoli il mondo occidentale e, se Carlo Martello non lo avesse arrestato a Poitiers, oggi saremmo tutti musulmani e non cristiani. Augusto Guerriero, Tempo perduto. Mondadori, 1959.

Il ministro Boschi, ambizioso alter ego di Renzi e sua faccia «secchiona» (se lo è detto lei) si intesta fiera il ddl sul senato che rischiava di passare come Finochiaro-Calderoli e lo gnommero della legge elettorale scritta da Verdini, presentando un dossier-emendamento inverosimile che ha fatto arrabbiare le frattaglie riottose del Pd a dato a noi l’impressione che la ragazza punti al potere vero e non a quello rosaquotato applicandosi alla Costituzione con lo stesso corruccio fanciullesco di quando, da bambina, montava la cucina di Barbie. Daniela Ranieri. Il Fatto.

La compresenza, a Roma, dei due massimi precedenti storici, la Roma imperiale e il papato, allude simbolicamente e fisicamente a dimensioni trascendenti e contraddittorie: Cesare e Dio, la spada e la croce, il potere politico e l’autorità religiosa, la terra e il cielo (il cielo di Roma è una liberazione: libera da Roma chi lo guarda). Alfonso Berardinelli, scrittore. il Foglio.

In Francia ci sono all’incirca 37 mila tessere di giornalisti, ma siamo sempre i soliti cinque o sei a essere designati come xenofobi e fascisti. Questa reductio ad hitlerum, di cui siamo costantemente vittime, mostra la stoltezza di questa sinistra che non sa più riflettere e rifiuta a prescindere il dibattito democratico. Chi non la pensa allo stesso modo diventa, automaticamente, un malpensante. Ives Rioufol. Le Figaro.

Le autonomie locali (fortemente volute da una sinistra fin dai tempi del Pci orfana di potere a livello centrale e culturalmente e politicamente affetta da organicismo social-fascista ereditato dalla Repubblica di Salò) erano diventate il luogo della collusione fra interessi privati e Casta politica, fra sfera amministrativa ed establishment; terreno di coltura di clientele e parentele politiche e affaristiche già presenti nel sistema politico smantellato da Mani pulite. Per dirla con altre parole, erano il ricettacolo di una corruzione dal basso che si distingueva da quella dall’alto della Prima repubblica solo perché venduto come «democratico» dalla sinistra in cerca di soldi. Piero Ostellino, Corsera.

Siamo colleghi, io e Giorgio Armani. Abbiamo cominciato nello stesso modo: lui aiuto vetrinista, io allievo al corso serale che il professor Brambilla (ho dimenticato il nome) teneva a Bergamo per preparare a questo mestiere. Armani alla Rinascente di Milano, io in giro ad allestire le vetrine di vari negozi della mia città. Un’arte che m’è servita tantissimo, da giornalista, nel preparare le prime pagine: devi valorizzare la merce, non affastellarla, capire quale va esposta in alto e quale in basso, assecondare il gusto dei lettori. Gli invidiosi lo davano per spacciato il giorno in cui morì Sergio Galeotti, il socio che dirigeva la parte commerciale della casa di moda. Ma Armani è come Charlie Chaplin: tanto bravo da non aver bisogno della spalla. Negli Stati Uniti, dove Time lo ha immortalato con una copertina che celebrava il «Giorgio’s gorgeous style», lo splendido stile di Giorgio, ha battuto in popolarità Gianni Agnelli, Luciano Pavarotti e Sophia Loren. Idem nel mondo. L’unico italiano che ancora gli tiene testa, nell’hit parade della fama, è Enzo Ferrari. Nasce in un piccolo appartamento di Piacenza, con la stufa in corridoio. Il padre è impiegato alla Casa del fascio. Dopo la Liberazione, la madre confeziona camiciole e braghette con la seta dei paracadute che i soldati angloamericani hanno lasciato appesi agli alberi. Giorgio osserva e impara. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

Me li vedo i membri del comitato dell’Unesco, riuniti nel Qatar. Altro che Fenoglio! La documentazione che hanno sotto mano è una lunga fila di bottiglie. Leggono i nomi: Gaja, Altare, Rivetti, Ceretto, Giacosa, Chiarlo, Scavino, Conterno, Fantino, Voerzio, Einaudi, Caviola, Pecchenino, Braida, Nebbiolo, Barolo, Barbaresco, Dolcetto, Barbera, Moscato, Asti spumante? Come potevano non tutelare tanto bendidio? Aldo Grasso, Corsera.

Tutte le strade conducono a Roma e qui si perdono. Roma è una città dove le apparenze sono organizzate in istituzioni vuote di significato. Raffaele La Capria. Corsera.

Piera Graffer ama farsi chiamare Sarabande: la Sarabanda che ha in casa e che le agita le sinapsi. Sarabanda, Serbend dal persiano, significa «danza con canto», chiasso, confusione, baccano, fracasso. Piera Graffer invece non è rumorosa: educata, flessuosa, mobile, instabile, labile, audace, coraggiosa, attenta, contegnosa, ricca di esperienza, fantasiosa, vogliosa, poco affidabile... questa è una sarabanda di donna. Luigi Serravalli, critico d’arte e scrittore.

Ci avventammo dopo il 25 aprile sulle armi dei partigiani: erano lunghi fucili Mauser, lucidi, ben conservati. Per terra c’erano mucchi di bombe a mano, col manico lungo. Parevano birilli per bambini. Nantas Salvalaggio, Un uomo di carta. Rizzoli.

Dopo New York sono andato a Milano perché nel capoluogo lombardo c’era ancora una forte atmosfera creativa. Fontana era appena morto, Ettore Sottsass viveva lì, mi sentivo meglio vicino a un mondo di design e architettura. Sono venuto a Roma solo in seguito, a causa della mia famiglia, ma non sono sicuro che mi piacerebbe vivere a Roma. Come ho detto, Milano è una forte calamita...». Mimmo Paladino, pittore e scultore. la Stampa.

Il romanzo Ferito a morte di Raffaele La Capria vinse il Premio Strega per un solo voto. E tutti strillavano: «Quel voto è mio, mio!». Alberto Arbasino, Ritratti italiani. Adelphi.

I grandi uomini che ho conosciuto, visti da vicino, mi sono sembrati più piccoli di me. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Non tutti i mali vengono per suocere. Totò. il Messaggero.