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 2014  agosto 19 Martedì calendario

QUANDO BERLINO SI OPPONEVA AL RIGORE UE


Germania inflessibile, rigorosa, severa. Si descrive così l’atteggiamento del Paese e della cancelliera Merkel nel dibattito sulle regole di bilancio Ue. Giustamente. Dalla crisi greca del 2010 in poi, Berlino non ha fatto sconti agli altri Paesi europei. Ma sarebbe sbagliato pensare che l’inflessibilità sia connaturata geneticamente allo spirito tedesco. Oggi sembra paradossale, ma dieci anni fa era proprio la Germania a reclamare vincoli più morbidi per sfuggire alle sanzioni Ue. La battaglia è stata poi vinta da Berlino (e Parigi) dopo una lunga discussione con la Commissione, del tutto simile a quella aperta da alcuni governi del Sud Europa (e osteggiata oggi dagli stessi tedeschi). Alcune delle più rilevanti modifiche al Patto di Stabilità in vigore sono state introdotte proprio nel 2005, quando Berlino aveva bisogno di un allentamento.
A dieci anni di distanza, i ruoli si sono ribaltati. La credibilità delle regole, oggi invocata dalla Germania, è stata minata proprio da Berlino nel 2003. Il Patto allora non è stato applicato. La prima avvisaglia c’è stata nel 2002, quando i governi riuniti nel Consiglio Ue hanno respinto la raccomandazione della Commissione di un’ammonizione («early warning») sui conti di Germania e Portogallo. La violazione maggiore c’è stata però nel 2003, quando sono finiti sotto la lente Ue i due maggiori Stati dell’Eurozona, ovvero Francia e Germania, a cui è stato richiesto di ridurre i deficit eccessivi entro l’anno successivo. Già nell’autunno 2003 fu chiaro che i due Paesi non ce l’avrebbero fatta. La Commissione concesse allora un anno in più, ma raccomandò al Consiglio un’intimazione ufficiale ai due Paesi: un passo che precede la sanzione finale. Ebbene, il successivo Consiglio Europeo non ottenne la maggioranza per approvare l’intimazione e al contrario definì una sospensione della procedura, sulla base degli impegni di Germania e Francia per ridurre i disavanzi nel 2005. Le conclusioni del Consiglio sono state poi annullate dalla Corte di Giustizia europea perché violavano le procedure Ue: il Consiglio Ue non può infatti prendere iniziative in assenza di una specifica raccomandazione della Commissione. Da qui si è poi aperto il dibattito che ha portato nel 2005 alla riforma del Patto di Stabilità, che è stata guidata proprio da Germania e Francia. Non potendo adeguarsi alle regole, i due Paesi di fatto le hanno cambiate. Nel dettaglio, nel 2005 l’obiettivo fiscale di medio termine (Omt) è stato differenziato per Paese, per tenere conto delle diverse condizioni economiche e di bilancio; è stata introdotta la possibilità per gli Stati di deviare dall’Omt in caso di riforme strutturali con impatto di lungo termine sulle finanze pubbliche; inoltre è stato deciso il rinvio delle procedure per deficit eccessivo in caso di condizioni economiche avverse inattese con importanti conseguenze sui conti pubblici. «È un’ottima giornata per la Germania, per l’Europa e per lo sviluppo economico», commentò il cancelliere Gerhard Schroeder dopo il via libera all’indebolimento del Patto il 21 marzo 2005. Parole che difficilmente pronuncerebbe oggi la cancelliera Merkel in caso di allentamento dei vincoli, peraltro in una fase macroeconomica molto più difficile ed «eccezionale» rispetto ad allora. Le più morbide regole del 2005, secondo molti, sono state alla base dell’applicazione del Patto molto indulgente nei confronti della Grecia: una procedura per deficit eccessivo è stata abrogata nel 2007, nonostante le perplessità della Bce sull’affidabilità dei conti di Atene, che sarebbe poi emersa tre anni dopo, quando ormai sarebbe stato troppo tardi. Ma la Germania, al contrario di altri Paesi, approfittò della sospensione delle regole per attuare allora le riforme che l’hanno fatta passare da malato d’Europa a economia leader: gli eventi di quegli anni restano oggi la migliore lezione per i Paesi dell’Eurozona, sia quelli del Nord che quelli del Sud.