Lina Palmerini, Il Sole 24 Ore 19/8/2014, 19 agosto 2014
RIFORME, RENZI ALLA PROVA CONSENSO
Se è vero quello che dice Matteo Renzi – e cioè che ripetteremo il vincolo del 3% senza un aumento di tasse – l’unica strada consistente è quella del taglio della spesa pubblica. Un percorso che a questo punto sembra obbligato per fare le riforme – quella di un fisco più leggero, per esempio – ma che ha una contropartita rischiosa per il segretario del Pd: mettere in gioco il suo elettorato. Un’operazione davvero di "cambia verso", molto più di quanto non sia stato fatto in questi mesi o nei precedenti governi di centro-sinistra e per questo, forse, poco credibile. Si tratta, insomma, di ridisegnare i confini sociali, economici e geografici dell’elettorato del Pd che oggi vive prevalentemente di spesa pubblica, proprio quella che si vorrebbe tagliare. Un esempio? Il Pd è il partito dei pensionati, il primo tra tutti i partiti con il 35,3% di voti. E quindi è anche il primo partito nella fascia di età non attiva dai 65 ai 75 anni dove raccoglie un consenso del 67,2 per cento. Questo vuol dire pensioni, certo, e quindi spesa corrente ma vuol dire anche sanità, altro capitolo pesante e piuttosto inefficiente in alcune zone d’Italia. Ecco, quindi, che le principali voci di spesa sono "ostaggio" del bacino elettorale prevalente del Pd.
Per capire l’effettivo peso elettorale, vale la pena la comparazione dei dati: solo l’11,7% dei pensionati vota per Grillo, il 26% nel 2013 ha votato Berlusconi ma per il Pd si supera il 35 per cento. I dati sono scritti nel volume Itanes Voto amaro sulle elezioni del 2013 e confermati anche dai dati sulle europee del 2014 dove, scrive l’Istituto Cattaneo, «il successo del Pd sta nell’aver saputo mantenere i propri consensi senza perderli nell’astensionismo». E dunque quella struttura di consenso che emerge dall’analisi sulla «base sociale» del Pd – scritta da Marco Maraffi, Andrea Pedrazzani e Luca Pinto nella loro analisi del 2013 – è rimasta intatta. E in quella base sta un altro pezzo corposo di spesa: quella dei dipendenti pubblici. Tra impiegati di concetto e insegnanti la quota totale di consensi supera il 53% e anche questo dato spiega, per esempio, il blitz tentato qualche settimana fa alla Camera quando era stata tentata una deroga ad hoc della legge Fornero per 4mila docenti. La cifra potrebbe salire se si considerassero gli impiegati esecutivi che però lavorano di più nel settore privato.
In sintesi, tra pensionati, anziani (quindi maggiori utenti della spesa sanitaria), insegnanti e impiegati pubblici, il Pd si conferma il primo partito della spesa pubblica mentre è ancora piuttosto lontano dai piccoli imprenditori, dagli operai e dai giovani disoccupati o in cerca di occupazione. La prima asimmetria sta quindi nel dato di un 35,3% di pensionati contro un 24,8% di lavoratori attivi. E tra gli "attivi" solo il 18,6% dei lavoratori in proprio vota Pd mentre il resto del "bottino" viene spartito tra Grillo (26%) e Berlusconi (22,3%). Si sa che per 5 Stelle e Forza Italia queste percentuali sono scese ma quei voti sono andati all’astensione, non al Pd.
È sempre l’Istituto Cattaneo che legge i flussi di questa ultima elezione dove – spiega – solo gli elettori di Scelta civica hanno traslocato nel partito democratico per un "effetto Renzi", cioè per quella aspettativa riformista che aveva chi scelse Monti. E qui sta il punto per Renzi: se andare avanti e mantenere quelle aspettative mettendo in conto di abbandonare pezzi di elettorato per andare a caccia di altri. Quelli di Grillo, per esempio, che è stato primo partito tra i giovani, studenti e piccoli imprenditori e che con il calo di consensi – ora – rappresenta una occasione. Così come è una chance il calo di Forza Italia che pur restando ancorata a una quota di spesa pubblica – è votato al Sud e tra gli anziani – mantiene consensi tra gli imprenditori.
È questa sfida a conquistare nuovi elettori che Renzi deve cogliere se vuole (o deve) fare le riforme e la spending review. C’è uno schemino – nel volume Itanes – che racconta con i numeri questa potenzialità su quattro tematiche: tasse, Europa, Imu (sarà la Tasi) e immigrazione. Bene, nel 2013 il posizionamento politico tradizionale del Pd su questi temi era forte tra gli elettori del Pd ma non tra gli ex elettori Pd (o tra i non elettori di area di centro-sinistra) che invece consideravano "meno tasse", "meno Europa", "meno Imu" e "meno immigrazione" argomenti più convincenti. Un risultato che porta Maraffi, Pedrazzani e Pinto a scrivere che «c’è una mancanza di sintonia tra le posizioni percepite del Pd e il suo potenziale elettorato: possibile causa sia dell’abbandono di chi lo aveva votato in passato, sia dell’incapacità di attrarre di chi non sceglie il Pd». Resta da vedere se sarà questa la scommessa d’autunno di Renzi.