Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 19/8/2014, 19 agosto 2014
BERLINO PARLA A FRANCOFORTE
Solo un economista poteva farlo, non certo un politico. Le parole di Pier Carlo Padoan - che all’inizio di quest’anno firmava ancora rapporti e previsioni per l’Ocse - hanno finalmente colto nel segno: nella sua intervista alla Bbc di domenica il ministro dell’Economia ha detto alla Bce (e in un certo senso, tenuto conto delle affermazioni di ieri, anche alla Bundesbank) le cose che andavano dette.
Solo un economista poteva farlo. Le parole di Pier Carlo Padoan - che all’inizio di quest’anno firmava ancora rapporti e previsioni per l’Ocse - hanno finalmente colto nel segno: nella sua intervista alla Bbc di domenica il ministro dell’Economia ha detto alla Bce le cose che andavano dette.
Quando parla dell’Italia la Bce in realtà non ha torto. Non c’è dubbio che il nostro Paese debba liberarsi dell’idea che la crescita si ottenga con la spesa pubblica. Durante una recessione (e l’Italia è in recessione) può essere vero - dipende dalle spese - ma il nostro Paese ha sempre e sempre più bisogno di investimenti per aumentare la capacità produttiva e di tante nuove imprese per creare posti di lavoro. La banca centrale deve però dare una mano. Soprattutto in una fase come questa in cui non si può eccedere con i debiti. Proprio questo ha detto Padoan: la Bce «dovrà essere coerente nel portare l’inflazione nuovamente vicina al 2%, che è una cifra ragionevole ma molto lontana dai livelli attuali».
Non si può dire che l’Eurotower stia riuscendo nel suo intento. Il banco di prova, più che il livello attuale dell’inflazione che è un dato del passato, sono le aspettative di inflazione, che è compito della politica monetaria plasmare. Devono essere ancorate e puntare, come recita l’obiettivo della Bce, «al di sotto ma vicino al 2% nel medio periodo», che corrisponde a due anni.
Qual è la situazione attuale? Basta ascoltare lo stesso presidente Mario Draghi. «Le aspettative a cinque anni sono ancorate all’1%», ha detto a inizio mese. I conti allora non tornano: un per cento su un orizzonte di cinque anni sono molto meno del 2% su un orizzonte di due e raccontano che va fatto molto di più. È vero che la Bce da qualche tempo dice che, per la crisi, il "medio periodo" è ora più lungo di due anni, ma non si possono deformare troppo i parametri sui quali si viene giudicati; e comunque aspettative all’1% su cinque anni sono davvero troppo poco.
Le aspettative, in ogni caso, non sono l’unico segnale che qualcosa non va nella politica monetaria. C’è l’euro, che è troppo caro: verso le principali valute (nell’indice del cambio effettivo) è al di sopra della media storica. C’è la base monetaria, controllata direttamente dalla Bce, che è scesa del 32% da luglio 2012, quando l’inflazione era all’1,7%. C’è l’offerta di moneta (M1, M2, M3), che continua a crescere troppo lentamente. Ci sono infine i dati dell’inflazione passata: è dai primi mesi del 2012 che la Bce non riesce a mantenere la media dei mesi successivi "sotto ma vicino al 2%" e, sorprese a parte, non ci riuscirà per un po’.
L’Italia non ha bisogno, in realtà, di prezzi più alti. L’inflazione non aiuta - come invece si crede - a ripagare i debiti, a meno che non sia imprevista, e quindi comunque molto dannosa. Sarebbe utile piuttosto simulare una svalutazione: i prezzi devono restare bassi per essere competitivi all’estero. Devono crescere - oltre il 2% annuo, che deve essere il valore medio di Eurolandia - altrove, nei Paesi in cui le cose vanno meglio, a cominciare dalla Germania che perde un po’ colpi ma ha comunque prospettive migliori del nostro paese. Anche l’inflazione tedesca, allo 0,8%, è però bassa.
Bisogna quindi davvero chiedere alla Bce di fare di più. Senza dimenticare però che i suoi primi tentativi di adottare una politica monetaria più aggressiva, nel 2011, furono accolti dal governo italiano come un invito a dimenticare riforme e conti pubblici. Forse l’errore della Bce è stato proprio quello di porsi obiettivi che toccano ad altri organismi della Ue - come chiedere il rispetto del rigore fiscale o le riforme strutturali - diversi dalla stabilità dei prezzi. È lo stesso errore che emerge dalle parole di ieri della Bundesbank: le aspettative di inflazione sono inferiori all’obiettivo, ha detto la banca centrale tedesca, la ripresa sarà più lenta ma «una politica espansiva porta con sé il pericolo di far svanire gli sforzi degli Stati membri per le riforme e il rigore sui conti pubblici».
Le parole di Padoan aiutano quindi a mettere ogni cosa al proprio posto. Non tocca alle banche centrali vigilare sulle riforme e neanche sul rigore fiscale, se il prezzo è perdere di vista l’inflazione. Tocca però ai governi togliere alla Bce e alla Bundesbank ogni pretesto per occuparsi di questioni di politica economica non monetaria. In fondo, incentivare gli investimenti è necessario, lo dicano gli stranieri o no.