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 2014  agosto 19 Martedì calendario

TV, LIBRI, LIQUORI E TAPIS ROULANT, NELLA PRIGIONE DI LANDON PLACE

L’ambasciata dell’Ecuador si trova in un appartamento al piano terreno di un bell’edificio georgiano in mattoni rossi, alle spalle di uno dei luoghi più frequentati di Londra, i grandi magazzini Harrods. La casa è abitata da altri inquilini, che da due anni non ne possono più. La polizia sorveglia l’ingresso e le strade laterali, un agente è a guardia dell’ascensore, giornalisti e operatori tv arrivano improvvisamente in massa; personaggi famosi, seguiti dai fotografi che loro stessi hanno avvertito, vanno e vengono.
Julian Assange si è rifugiato nell’ambasciata nel giugno del 2012, subito dopo che la Corte Suprema britannica ha respinto il suo ricorso contro l’estradizione in Svezia, dove lo attende un processo intentato da due discusse ragazze, in disaccordo con lui non sul fare sesso, ma sul come farlo. Molti pensano che in Svezia se la caverà, ma che sarà estradato subito dopo negli Stati Uniti, dove invece vorrebbero metterlo in galera e buttare via la chiave.
Quando ha accettato l’immunità che l’Ecuador gli offriva, Assange non pensava di stare per così lungo tempo nell’ambasciata, né che la vita nel piccolo appartamento di Landon Place sarebbe stata così dura. Ora non ne può più, e se ne vuole giustamente andare. Le sue prigioni sono state documentate dalla giornalista del «Daily Mail» Sarah Oliver, che è diventata una confidente e lo va spesso a trovare.
Le piccole stanze delle vecchie case inglesi sono meravigliose se si deve bere un tè davanti al caminetto mentre fuori piove e tira vento, ma possono diventare un incubo per chi è costretto a viverci senza mai poter uscire. Assange all’inizio ha attrezzato la sua camera con computer e telefonini, pensando di poter continuare a gestire WikiLeaks come prima. Il mondo sembrava essere dalla sua parte: venivano a trovarlo Yoko Ono e Lady Gaga, la stilista Vivienne Westwood e numerose altre celebrità. Dal Wasabi più vicino arrivava ogni sera il take away di sushi, sulla libreria dell’Ikea c’erano bottiglie di liquore («così non penseranno che sono musulmano», ha detto alla Oliver) e tutto si sarebbe in qualche modo presto aggiustato.
Ma non è andata così. Dopo qualche settimana, i giornalisti che lo assediavano se ne sono andati. È stato ridotto il numero di poliziotti che lo sorvegliavano 24 ore al giorno, superando complessi problemi logistici, come quello di dove andare in bagno. Per un po’ gli agenti avevano usato le «restrooms» di Harrods: un sollievo durato poco, perché il grande magazzino permette solo ai clienti di usarle e fa sempre rispettare i suoi codici di comportamento.
Gli amici di Assange hanno cominciato a mandargli oggetti che avrebbero potuto aiutarlo a sopportare meglio quella vita da recluso. Il regista Ken Loach gli ha regalato un tapis roulant, un altro amico un pallone da calcio, altri un lampada abbronzante che compensasse la mancanza di esposizione al sole. Assange l’ha usata per la prima volta poco prima della sua apparizione al balcone dell’ambasciata, un anno fa. Aveva sbagliato le regolazioni dell’apparecchio e il suo volto era per metà pallido e per l’altra metà rosso come un’aragosta o «come una vittima di Cernobil», ha detto infelicemente a Sarah Oliver. Prima di uscire sul balcone, dove le televisioni di tutto il mondo lo aspettavano, si è sottoposto a una seduta di make-up che nascondesse le scottature sotto un po’ di fondotinta.
Nelle poche ore libere da telefoni e computer, Assange gioca da solo a calcio nel corridoio dell’ambasciata con il pallone che gli hanno regalato. Prima dei problemi al cuore, correva per cinque chilometri al giorno sul tapis roulant di Ken Loach. Guarda molta televisione e film che scarica dal web: tra i suoi preferiti, le «Idi di marzo» di George Clooney e una storia sui diritti civili degli aborigeni australiani: «This Is How You’ll Make Yor Bed In Prison». Non si perde una puntata di «West Wing», o degli altri sceneggiati televisivi sulla conquista del potere in America nei quali si cita il suo WikiLeaks come un nemico da abbattere, il più pericoloso di tutti, perché ha tolto il velo che proteggeva il re e l’ha mostrato nudo. Di fianco al letto, ha raccontato, tiene un dispositivo di emergenza così misterioso che ha proibito alla Oliver di descriverlo nei suoi articoli.
Non si può vivere così per due anni senza uscire di senno, e per Assange è arrivato il momento di andarsene. Non si sa come né quando lo farà. Ma se il potere lo insegue e lui cerca di scappare, la gente starà dalla sua parte, come sempre è avvenuto.