Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 19/8/2014, 19 agosto 2014
MACCHE’ SOVIET, L’ARTICOLO 18 FU VOTATO DAL MARCHESE PUCCI
Chissà se Angelino Alfano è mai stato cliente delle boutiques Pucci. Nel 1970, infatti, anno di approvazione dello Statuto dei lavoratori, spauracchio della destra italiana, tra i difensori di quella legge c’era anche il marchese Emilio Pucci di Barsento. Deputato del Partito liberale, allora espressione della grande industria italiana, il marchese è stato il fondatore della maison Pucci, che si vantava di avere la sede a Firenze, a palazzo Pucci in via de’ Pucci. Pura nobiltà fiorentina che oggi sarebbe al fianco di Matteo Renzi, come un Farinetti un po’ più signorile. Emilio era uomo noto per il design elegante e fantasioso, una vita avventurosa e un approdo nel Partito liberale, il partito della destra industriale.
Ieri Vittorio Feltri, su Il Giornale, ha dipinto la legge che reca l’articolo 18 come frutto delle “nuvole rosse dell’Urss” in cui era immersa la testa dell’allora ministro socialista Giacomo Brodolini. La realtà è diversa. Lo Statuto fu approvato dalla maggioranza di centrosinistra di allora, governata da un esile Rumor 3, con il voto favorevole dei liberali di Malagodi e l’astensione del Pci, del Psup e del Msi. L’Unità del 15 maggio, giorno successivo all’approvazione definitiva, mette la notizia in evidenza ma non in apertura e sottolinea le “lacune” del provvedimento”. Il ministro Carlo Donat Cattin – che aveva sostituito Brodolini, morto per un tumore – accusò il Pci di “doppiezza” e in parte aveva ragione. Ma in ogni caso il Pci allora era all’opposizione.
La legge, in realtà, veniva da lontano. Il primo ad auspicare uno “Statuto dei diritti” dei lavoratori fu il segretario della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, nel 1952 di cui, non casualmente, Brodolini fu vicesegretario. Il progetto però si inabissò e gli anni 50 saranno ricordati soprattutto per le migliaia di licenziamenti politici e discriminatori, in particolare nella Fiat di Vittorio Valletta. Il contesto in cui lo Statuto si afferma è quello. Ma come ricordavano i deputati del Pci in aula, durante l’approvazione della legge, in particolare Giuliano Pajetta, fratello del più famoso Giancarlo, saranno le lotte sindacali del “biennio rosso” ‘68-‘69, a convincere che una regolamentazione della vita sindacale in fabbrica è necessaria. E che conviene anche ai “padroni”, come il Pci chiamava allora gli imprenditori. Da qui, l’atteggiamento pragmatico della Dc, del Psi e anche dei liberali.
Il “totem ideologico” non è altro che un aggiornamento della legislazione del lavoro ai princìpi della Costituzione. Ed è anche espressione di quella cultura riformista italiana ben rappresentata dal professor Gino Giugni a capo della commissione che preparerà la riforma. Riformismo a cui fanno riferimento, paradossalmente, uomini come Renato Brunetta e Maurizio Sacconi. Però fu quest’ultimo, da ministro berlusconiano, a cercare di svuotare quella legge con l’articolo 8 della legge 148 del 2011.
Che lo Statuto servisse a dare attuazione agli articoli 41 e 39 della Costituzione, lo ribadiscono in aula proprio il marchese Pucci o il ministro Donat-Cattin. L’articolo 41, infatti, stabilisce che l’attività economica “non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza , alla libertà, alla dignità umana”. Mentre il 39 sancisce la libertà sindacale e il diritto di sciopero.
Non è un caso se l’articolo 1 dello Statuto sia consacrato alla “libertà di opinione”. Poi si entra nel merito di questioni concrete come il divieto di utilizzare “impianti audiovisivi” per controllare a distanza i lavoratori. All’articolo 7 si governano le sanzioni disciplinari garantendo la difesa dei lavoratori. L’articolo 5 fa sì che le visite mediche vengano finalmente affidate ai servizi previdenziali e non ai medici aziendali. All’articolo 9 si introduce il diritto della salute e della sicurezza in fabbrica mentre con l’articolo 13 si stabilisce il diritto a mantenere la mansione acquisita. L’articolo 14 apre il Titolo II sulla libertà sindacale. Prima di arrivare al fatidico 18, attorno al quale il dibattito nel ‘70 fu quasi nullo, si sancisce “il diritto di costituire associazioni sindacali”, e il divieto di “atti discriminatori” da parte delle aziende a causa di attività sindacale dei lavoratori o per la loro partecipazione a uno sciopero. Si fa divieto di aumenti discriminatori all’articolo 16 mentre l’articolo 18, che fa tanto scandalo, è stato ampiamente rimaneggiato dalla legge Fornero del 2012. Oggi prevede la possibilità di un risarcimento economico per quei licenziamenti che non abbiano carattere discriminatorio lasciando però l’ultima parola al giudice.
Dall’articolo 19, invece, si entra nel Titolo III che regola l’attività sindacale. Si stabiliscono le Rappresentanze sindacali e poi si garantiscono vari diritti come quello di assemblea, di referendum, i permessi retribuiti, il diritto di affissione, alle trattenute sindacali, all’utilizzo di locali per l’attività sindacale.
Il Titolo IV si apre con l’importante articolo 28 che rende giuridicamente nulli quegli atti, licenziamenti o altro, “diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero”. Il Titolo V, invece, è dedicato al collocamento pubblico ma è stato ampiamente rivisto. Con l’articolo 35, e siamo al Titolo VI, si indica il limite di applicazione dello Statuto alle aziende con più di 15 dipendenti, e si definiscono le disposizioni finali e penali.
Guardandolo alla lettera, lo Statuto non è altro che l’applicazione della Costituzione al mondo del lavoro. Difficile capire dove debba essere rivisto senza alternare diritti fondamentali. Alcune parti possono o devono essere riviste, come quella sul collocamento, ormai superata anche nella nuova formulazione, e soprattutto l’articolo 19 svuotato dal referendum del ‘93. Qui servirebbe una legge sulla rappresentanza sindacale. Per il resto, una riscrittura complessiva non potrebbe non mettere in discussione diritti che ormai fanno parte della vita quotidiana di questo paese. Se Renzi vuole farlo, come ha dichiarato, dovrebbe chiarire questo punto.