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 2014  agosto 19 Martedì calendario

L’ALTRA FACCIA DI PAPA’ E MAMMA, ASSASSINI PER UN PIANTO DI TROPPO

Traditi da chi li doveva proteggere. Accoltellati, annegati nella vasca da bagno, soffocati nella lavatrice, uccisi a colpi di pistola, strangolati, picchiati a morte con oggetti contundenti o a mani nude, «scaricati» come rifiuti nel water prima ancora di vedere la luce. Assassinati senza un motivo apparente e senza colpa, se non quella di esistere, da killer noti, intimi e vicini, i più vicini a loro: i genitori. Un fenomeno, quello dell’infanticidio, che negli ultimi anni ha assunto dimensioni preoccupanti, una vera e propria strage degli innocenti. E non è il caso di parlare di raptus, perché molte di queste vite potevano essere risparmiate, molti autori di questi delitti potevano essere assistiti, curati, messi in condizione di non nuocere ai loro familiari e ad altri.

Secondo un dossier dell’Associazione Meter Onlus di don Fortunato Di Noto, negli ultimi dieci anni, sono stati 243 i bambini uccisi. Ad essere precisi si tratta di 24 l’anno, due al mese. La maggior parte «caduti» sotto i colpi del padre o della madre. L’Istat ha provato a tracciare un quadro prendendo come punto di riferimento i «delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria». Nel 2011 gli omicidi volontari di under 17 sono stati 9 (7 erano vittime di età inferiore ai 13 anni). Sedici, poi, i tentati omicidi anche se il vero dramma riguarda le percosse (559 casi di cui 219 con protagonisti under 13), le lesioni dolose (2298 casi di cui la maggior parte su ragazzi tra i 14 e i 17), le minacce (973 casi).

Cifre preoccupanti, che dovrebbero creare allarme, spingere a correre ai ripari. Niente di tutto questo. I casi più agghiaccianti scuotono l’opinione pubblica, fanno discutere, rimbalzano rumorosamente sui media per qualche giorno, provocano indignate reazioni dei politici. Poi scende il silenzio. Fino al prossimo «bambinicidio». È successo così anche con gli episodi che hanno suscitato maggiore clamore, come il delitto di Cogne. È il 30 gennaio del 2002. Il piccolo Samuele Lorenzi viene massacrato nella villetta di Montroz in cui vive con la madre, il padre e il fratellino. I soccorritori, chiamati dalla donna, Annamaria Franzoni, lo trovano con gravissime ferite alla testa. Morirà poco dopo. Annamaria nega di essere coinvolta, ma viene accusata dell’omicidio. Dopo un interminabile calvario giudiziario, è riconosciuta colpevole con sentenza definitiva dalla Cassazione. Il 12 maggio, a Madonna dei Monti, frazione di Santa Caterina Valfurva (Sondrio), una donna di 31 anni, Loretta Z., uccide la figlia di 8 mesi mettendola nella lavatrice e facendole compiere un ciclo di lavaggio. Il 3 giugno 2003 una peruviana di 29 anni, Helga R., strangola e poi affoga in un water dell’ospedale di Desio (Milano), la figlia di tre mesi, ricoverata per una caduta dalla carrozzina. Il 7 luglio 2004 a Vieste, in provincia di Foggia, Giuseppina D.B., 33 anni, soffoca con del nastro adesivo i suoi figli, una femmina di 5 e un maschietto di quasi due anni. Poi si toglie la vita nello stesso modo. Il 18 maggio 2005, a Casatenovo, in provincia di Lecco, Maria Patrizio, 29 anni, racconta di essere stata aggredita in casa mentre faceva il bagnetto al figlio di 5 anni, scivolato nell’acqua e morto. Due settimane più tardi, confessa. Il 17 marzo dello stesso anno una neonata di due mesi viene trovata uccisa con una coltellata nella sua casa alla Romanina, a Roma. La mamma assassina, 23 anni, tenta il suicidio. L’8 settembre a Merano un bambino di quattro anni viene ucciso a coltellate dalla madre, Christina Rainer, 39, che poi tenta il gesto stremo gettandosi da una finestra del secondo piano del commissariato. Il 20 luglio 2009, a Parabiago, in provincia di Milano, un’altra mamma uccide il figlio di 4 anni, strangolandolo con un cavo elettrico. La donna, 36 anni, soffriva di depressione. Un mese dopo, il 26 agosto, a Genova, una trentacinquenne strangola nel suo lettino il figlio di appena 19 giorni con il cavetto di alimentazione del cellulare. Poi il suicidio. In questo caso, il responsabile sembra essere la depressione post-partum, oltre alla disoccupazione e l’assenza del padre del bimbo. E ancora. Il 24 settembre a Castenaso, alle porte di Bologna, Erika M., 36 anni, accoltella a morte i due figli di sei e cinque anni e si lancia dalla terrazza della sua abitazione. Depressione e separazione imminente le possibili «cause». Il 19 febbraio 2010 a Ceggia (Venezia) Tiziana Bragato, 47 anni, soffoca il figlio di sei anni e poi si impicca. Il 22 ottobre 2011 a Grosseto viene arrestata la mamma romana di un bambino di 16 mesi morto annegato durante un giro in pedalò alla Feniglia. È accusata di averlo annegato.

Gli ultimi, tragici, episodi sono cronaca di questi giorni. Le madri sono le principali responsabili degli infanticidi «singoli», anche se le statistiche dividono quasi a metà le colpe. I padri, invece, (Ancona a parte) hanno il «monopolio» delle stragi familiari. E, dopo aver eliminato in un delirio di onnipotenza o per timore che senza di loro non ce la possano fare, la moglie e i figli, se ne vanno anche loro. Molti moventi nascondono patologie mentali. Ma a volte i piccoli sono vittime di conflitti fra adulti, com’è accaduto ad aprile a Pescara dove un uomo si è dato fuoco nell’auto con la figlia di 5 anni dopo aver discusso con l’ex moglie. Altre sono considerati un ostacolo, come per il padre di Motta Visconti che non aveva il coraggio di divorziare. In altre ancora, gioca un ruolo l’integralismo religioso. E questo vale soprattutto per lo scontro generazionale-culturale fra genitori stranieri e figli nati in Italia. Il risultato non cambia. La strage continua.