Elvira Serra, Corriere della Sera 18/8/2014, 18 agosto 2014
MICHELA CESCON: «IMPARARE DAI FIGLI AD AVERE SUCCESSO»
«Chi vince in casa, vince il campionato». La massima non è di Giovanni Trapattoni, ma del suo ginecologo (inteso di lei, Michela Cescon, non di Trapattoni). «Me lo disse dopo il terzo figlio. Ero piuttosto angosciata al pensiero che le tre gravidanze potessero interferire definitivamente con la mia carriera, avevo sempre avuto un’idea esclusiva della famiglia, non inclusiva, come se una cosa non ammettesse l’altra. Del resto, quando ero rimasta incinta della primogenita, Angelica, avevo dovuto dire di no a Toni Servillo che mi proponeva La trilogia della villeggiatura ; e mentre aspettavo la seconda, Violetta, Marco Bellocchio non mi ammise neppure al provino per il ruolo da protagonista di Vincere , che andò a Giovanna Mezzogiorno: avevo provato a persuaderlo a darmi una possibilità, “Maestro, mi metta almeno alla prova!”, ma niente, fu irremovibile. Con il terzo figlio, Giovanni, è stato diverso: quando il regista Roberto Andò mi propose Il dio della carneficina lo avvisai subito. E lui: “Che problema c’è?”. Recitai fino a dieci giorni prima del parto. Al piccolo in pancia dicevo: dai, fai da bravo, aiuta la mamma».
Il cinema italiano non è un paese per mamme, di questo sembra convinta Michela Cescon, 43 anni, veneta di Treviso, luminosa non solo per l’abito bianco, ma per le due settimane appena trascorse a Città della Pieve, nel «ruderone» che sta ristrutturando con il compagno Stefano Barigelli al confine tra l’Umbria e la Toscana. «Un posto che ha la durezza umbra, un po’ spartana e sacra, e la dolcezza toscana delle colline più morbide. Potessi, farei la snob vera: vivrei lì durante la settimana e tornerei a Roma nel weekend. Ma non voglio stare lontana da Stefano: ho paura delle distanze, fanno male e confondono, credo che separino», racconta a un tavolo de La Terrasse, in cima all’hotel Sofitel di Roma, vista sontuosa sui pini marittimi di Villa Borghese, un orizzonte che abbraccia da destra a sinistra Monte Mario, il Pincio, le Mura Vaticane, il Cupolone, il Pantheon e il Gianicolo (e perdonate le dimenticanze). «Peccato che oggi la giornata sia un po’ così», si scusa davanti a un tramonto comunque bellissimo l’attrice pluripremiata a teatro e al cinema, alla quale la recente edizione di Braccialetti Rossi su RaiUno ha dato una improvvisa popolarità. «Mi sono dovuta tagliare i capelli perché tutti mi riconoscevano come la “mamma di Rocco” e mi raccontavano per strada i loro problemi. Sono schiva, a me piace camminare, prendere l’autobus: all’inizio è stato uno choc, al massimo fino a quel momento qualcuno mi aveva fermata in Feltrinelli dopo aver visto Romanzo di una strage ».
Sarà il bicchiere di Champagne Rosé, che non è stato ancora neutralizzato dalla piccola e deliziosa tempura di gamberi e verdure, ma Michela non si nasconde e ricorda le sue paure di madre e di attrice. «I primi anni sono stati duri, sul lavoro ricevevo solo proposte “indecenti”, tipo un lavoro in Argentina, e come potevo accettare? I produttori, poi, quasi temono i costi delle mamme: magari pensano di dover pagare la macchina, un appartamento, la babysitter, mentre al contrario non c’è nessuno di più affidabile di una donna con figli: io mi devo organizzare quando prendo impegni, quindi sono puntualissima. Parliamoci chiaro: le Angeline Jolie della situazione hanno un sacco di soldi, che aiutano a gestire vita e carriera... Tornando a quei tempi, talvolta mi veniva da pensare: ecco, è colpa di Stefano, dei bambini, del fatto che sono donna, e se fossi uomo chissà cosa non avrei già interpretato...».
La differenza l’ha fatta il compagno, oggi direttore del Corriere dello Sport . «È uno che rilancia sempre, ha capito che mi stavo privando di qualcosa e mi ha spinta a costruire progetti su misura per me, mi ha incoraggiata ad acquistare diritti di opere teatrali che mi convincessero e a creare una casa di produzione, la Zachar. A quel punto, la mia famiglia non ha più escluso il lavoro, ma lo ha incluso. E d’un tratto ho attirato a me le collaborazioni giuste. Il lavoro di cui sono più orgogliosa è The Coast of Utopia , un mega-spettacolo dal testo di Tom Stoppard, diretto da Marco Tullio Giordana: erano coinvolte 68 persone, sono riuscita a raccogliere quasi un milione e 400 mila euro per metterlo in scena. E quando sul palco è servita una bambina, ho chiamato la mia Angelica, perché mi sono accorta che le sarebbe piaciuto partecipare. Sono belli i figli, ti sorprendono sempre. A giugno ho fatto una lettura davanti al Papa per un incontro con le scuole e li ho portati tutti e tre, compresa Violetta che era stata male la notte: non smettevo di piangere mentre glieli presentavo uno per uno».
Il tempo vola, la crema fredda di pomodori cuore di bue lascia il posto all’astice con chele croccanti e coda arrosto, in cui lo chef Giuseppe D’Alessio ha dato il meglio di sé. Il dessert alle noci chiude una conversazione trasparente, con l’aria diventata frizzante. Al rientro a casa Michela troverà i tre piccoletti svegli ad aspettarla, per una caccia al tesoro: il premio è una tisana alle erbe nascosta con il thermos dentro la lavatrice. «Non fa sorridere?», chiede lei con un messaggio sul telefonino. Sì, moltissimo, come nessun regista mai riuscirà.