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 2014  agosto 18 Lunedì calendario

MEUCCI. «SOLO SENSAZIONI. L’OROLOGIO NON L’HO MAI GUARDATO»

A 28 anni è prossimo al dottorato dopo la laurea in ingegneria dell’automazione (per intenderci, dà del tu ai robot). Ha due figli e adesso anche tre medaglie europee: il bronzo di Barcellona 2010 e l’argento di Helsinki 2012 sui 10.000, a cui aggiungere il meraviglioso oro di Zurigo 2014 in maratona. Di Daniele Meucci ce n’è uno solo.
Ma come fa a conciliare tutti i suoi impegni?
«L’atletica mi regala una certa indipendenza economica e mi permette di studiare. Studiando riesco a fare atletica. Il resto è tutto merito di Giada, la mia compagna, che si prende cura di Dario, che ha due anni e mezzo, e di Noemi, che ha dieci mesi».
Correndo è diventato ricco?
«No, ma a dicembre festeggerò i miei primi dieci anni nell’Esercito. L’allora capitano Martelli, oggi tenente colonnello, ha creduto in me quando ero nessuno».
Lei oro europeo come Gelindo Bordin e Stefano Baldini, poi campioni olimpici...
«Da anni mi sento ripetere che posso essere il loro erede, ma volevo dimostrarlo innanzi tutto a me stesso. Diciamo che comincio a crederci».
Quando ha capito che era arrivato il momento di attaccare?
«Ero titubante, ma Massimo Magnani, il mio allenatore, era da un po’ che mi incitava a partire. Gli ho dato retta, ha avuto ragione».
Il polacco Chabowski è un buon atleta: la sua fuga non l’ha spaventato?
«In gara mi sono consultato con Ruggero Pertile, ha esperienza da vendere. Abbiamo deciso di lasciarlo fare e di aspettare il momento giusto per attaccare».
Che emozione è stata?
«Enorme, soprattutto quando, già in testa da solo, ho incrociato tra il pubblico gli occhi di Dario. Ancora non parla. Ma quello sguardo esprimeva tantissimo».
Era preparato al meglio...
«Grazie ai 40 giorni trascorsi in altura a St. Moritz da inizio luglio e un percorso di allenamento vicino a casa, il giro della Certosa, che ricalca in tutto e per tutto questo di Zurigo. Le salite si son fatte sentire, un circuito così rischia di friggerti».
È riuscito ad avvertire il tifo dei tanti tifosi italiani?
«Sono stati fantastici, negli ultimi 3-4 chilometri, i più difficili, mi hanno trascinato».
Ha corso con l’orologio in testa?
«In verità no, mi sono fatto guidare dalle sensazioni. L’avevo al polso, ma non l’ho mai praticamente guardato. Ho registrato soltanto tre parziali e non ho preso il finale...».
Ha poco del diavolo, nonostante quel 666 sul petto...
«L’ho tenuto volentieri dopo i 10.000 di mercoledì. E sulla schiena ho il simbolo di Pisa, la mia città».
Questa medaglia è un sogno?
«Mi ricorda il bronzo sui 10.000 di Barcellona 2010, arrivato inatteso. La pista continua a piacermi molto, ma adesso mi sto innamorando anche della strada».
Meglio una medaglia o un record?
«Una medaglia, perché resta e tutti la ricordano. A me piacciono le gare “uomo contro uomo”, non quelle contro il tempo. Poi verrà il momento di correre una 42 km veloce, dove esplorare i miei limiti. Ma per ora mi tengo stretto il mio oro».