Ilaria Maria Sala, La Stampa 18/8/2014, 18 agosto 2014
BASTA MASCHI A TUTTI I COSTI, IN CINA TORNANO I FIOCCHI ROSA
Nella clinica per la fertilità del dottor Viwat Chinpilas, a Bangkok, siedono diverse pazienti cinesi in attesa. La clinica, il Bangkok IVF Center, pratica fecondazione in vitro con l’opzione di selezionare il sesso dell’embrione – cosa legale in Thailandia – e per alcune cinesi alla caccia quasi disperata del figlio maschio, si tratta di un’opportunità rara, impossibile da perseguire in Cina, dove questo tipo di selezione non è consentito.
Per W.H., proveniente da una piccola città del Sichuan, e anonima per ovvi motivi, si tratta dell’ottavo viaggio nella capitale thailandese: «Gli embrioni fecondati fin’ora erano tutti femmine, e quindi abbiamo lasciato perdere», dice. Ha il volto stanco mentre aggiunge: «Se di nuovo non funziona non so se lo rifaccio, però». Di fianco a lei, il marito legge una rivista. Il dottor Viwat, però precisa: «Molte delle cinesi che vengono da noi non sono qui perché hanno problemi a concepire, ma perché sperano nel maschio, e cerchiamo di aiutarle. Ma negli ultimi tempi il numero di pazienti cinesi che chiedono di selezionare il sesso dell’embrione sta calando, mentre aumenta l’età delle nostre pazienti: dalla Cina sono donne che hanno ritardato la maternità, e hanno bisogno di una mano per la fertilità».
Un problema da economia maggiormente sviluppata, che coinvolge in particolare le città cinesi: con l’urbanizzazione, così caldamente promossa dalle autorità, le donne hanno accesso a livelli di educazione maggiori, e a una carriera lavorativa, il che comporta però spesso ritardare il matrimonio e l’avere figli. Contemporaneamente, a questo si accompagna un’inversione di tendenza nelle preferenze di sesso per i propri figli: «La preferenza per un figlio maschio sta senz’altro diminuendo, ma si tratta di un fenomeno prevalentemente urbano», spiega Mei Fong, ricercatrice alla New America Foundation, un think-tank con sede a Washington. Le ultime statistiche ufficiali cinesi lo confermano: nel 2004 venivano al mondo in Cina 121.2 bambini per ogni 100 bambine (il rapporto naturale nascituri maschi e femmine è dai 103 ai 106 bambini ogni 100 bambine, cioè senza l’intervento di aborti selettivi o altri tipi di pre-selezione del sesso). Nel 2013 invece lo squilibrio dava segni evidenti di diminuzione, con 117 bambini ogni 100 bambine, consentendo ai demografi di proiettare che in dieci anni il dato diminuirà ulteriormente, raggiungendo un 110 maschi ogni 100 femmine.
Per riassorbire il problema, però c’è bisogno di tempo: vi sono oggi circa 30 milioni di uomini in Cina che non potranno trovare moglie nel Paese (18 milioni di loro al di sotto dei 15 anni), data la scarsità di donne. Quando la popolazione cinese arriverà al suo picco massimo proiettato dai demografi, prima di cominciare un lento declino, saremo nel 2030. A quell’epoca in Cina vivranno 1.4 miliardi di persone, ma lo sbilanciamento demografico sarà ancora patente, con conseguenze sociali per il momento imprevedibili: relativamente poche donne e pochi giovani, troppi uomini e molti anziani. Il calare della smaccata preferenza per il maschio avrà dunque bisogno di almeno una generazione per avere un impatto significativo.
Ad aiutare le coppie ad accogliere con uguale gioia una bambina o un bambino, però, oltre all’urbanizzazione, giunge anche l’attuale rallentarsi delle politiche dette «del figlio unico», applicate negli ultimi trentacinque anni a più del 40% della popolazione: «La preferenza per un maschio non è totale, e non lo è mai stata. Se si possono avere più bambini, e il primo è femmina, è raro che ci siano scontenti. Per il secondo la preferenza è più forte, in particolare nelle campagne: non solo per una questione di mentalità più tradizionale, ma anche in reazione alla legge sull’eredità - illustra Mei Fong -. Le terre possono essere ereditate per lo più in linea maschile, per cui finchè la legge sulla proprietà terriera non è modificata, la preferenza per i maschi resterà una costante nelle famiglie rurali».
Dare eccessivo peso alla tradizione, del resto, è un errore smentito dalle comunità cinesi che non hanno mai dovuto sottostare alla politica del figlio unico: a Taiwan o a Hong Kong, per esempio, la preferenza per il maschio è nettamente inferiore, e i demografi non registrano lo squilibrio di genere che affligge la Cina. E sia Hong Kong che Taiwan sono economie più sviluppate e mature, dove le donne hanno avuto accesso allo studio e al lavoro. E proprio come avviene in altre economie comparabili, cala sì il tasso di natalità, ma scompare anche la schiacciante preferenza per un maschio.
La Cina, dunque, non è ancora «dalla parte delle bambine»: ma nel suo lento cammino verso la modernità, ci si sta avvicinando. E pian piano i fiocchi rosa cominciano ad essere accolti con la stessa gioia di quelli azzurri.