Andrea Bassi, Il Messaggero 18/8/2014, 18 agosto 2014
UN TAGLIO IMMEDIATO, FINO A 400 MILIARDI DI EURO
L’analisi, spietata, è apparsa qualche giorno fa sul Telegraph. Ashoka Mody, un ex alto funzionario del Fondo monetario internazionale che si è sempre occupato di piani di salvataggio, secondo il quotidiano inglese, guardando i conti dell’Italia avrebbe detto che a Roma non resta altro da fare che consultare qualche buon avvocato esperto di ristrutturazioni del debito. Provocazione o no, il punto è un altro. Il debito italiano ha una crescita che sembra ormai inarrestabile. Le previsioni vengono aggiornate in peggio mese dopo mese. Il governo di Mario Monti nel documento di finanza pubblica dell’aprile del 2012 aveva stimato per quest’anno un debito al 118 per cento del Prodotto interno lordo. Nel documento successivo, quello aggiornato da Enrico Letta a settembre dello scorso anno, sempre per il 2014, si era già passati al 129 per cento, undici punti in più. Non appena arrivato, ad aprile di quest’anno, nel suo documento di finanza pubblica Matteo Renzi ha rivisto di nuovo al rialzo le stime, 134,9 per cento. Ma nel primo trimestre di quest’anno, ha certificato l’Eurostat, il debito italiano è già salito al 135,6 per cento.
A questo punto non resta che attendere la nota di aggiornamento del Documento di finanza di settembre per sapere dove l’asticella si posizionerà a fine anno, ma c’è qualcuno che paventa il rischio che si arrivi al 140 per cento. Per fermarne la crescita e stabilizzarlo, ha stimato il centro studi Bruegel di Bruxelles, servirebbe un avanzo primario superiore al 5 per cento. Significa che la differenza tra le entrate dello Stato e le sue spese al netto degli interessi che la Repubblica paga sull’indebitamento, dovrebbe essere positiva per cinque punti di Pil. Da tempo l’Italia ha un saldo positivo attorno al 2 per cento. Troppo poco e aumentarlo non è semplice. Così a Palazzo Chigi (si veda anche intervista nella pagina accanto) si è aperta una discussione sull’ipotesi di una cura shock sul debito, attraverso un suo abbattimento utilizzando il patrimonio di immobili e di aziende che lo Stato ancora possiede.
TUTTI I DOSSIER
Una ipotesi questa sulla quale si è speso pubblicamente con un intervento sul quotidiano economico finanziario MF-Milano Finanza Marco Carrai, l’imprenditore fiorentino che pur non avendo incarichi di governo è consigliere ascoltato di Matteo Renzi. L’idea espressa da Carrai al quotidiano, che batte questo tasto dal 2009, prevede un «Fondo patrimonio Italia» per valorizzare gli immobili pubblici le cui quote dovrebbero essere offerte ad investitori istituzionali italiani ed esteri in modo da tagliare lo stock del debito di 200-300 miliardi in un solo colpo. Di proposte per tagliare il debito pubblico, nel tempo, ne sono state fatte molte e diverse, come ha ammesso qualche tempo fa il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, sono sul tavolo. Di certo c’è quella presentata nel 2012 da Astrid, e firmata dal presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini e dall’ex premier Giuliano Amato, che prevede una riduzione del debito pubblico tra 150 e 200 miliardi in cinque anni attraverso una cessione graduale delle società pubbliche e degli immobili dello Stato che da soli valgono 400 miliardi. Altra proposta oggetto di attenzione sarebbe quella dell’ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio e di Guido Salerno Aletta fatta propria dall’associazione l’Italia C’è che prevede anch’essa un abbattimento del debito attraverso il conferimento degli attivi pubblici ad un fondo immobiliare, con la variante dell’obbligo per gli investitori istituzionali, come fondi pensione, assicurazioni o banche, che hanno in portafoglio titoli del debito italiani di scambiarli con le quote del fondo stesso. Ci sono anche progetti più draconiani. Come quella di Mediobanca, che prevede l’acquisto da parte della Cassa Depositi e Prestiti di partecipazioni statali e delle riserve auree della Banca d’Italia, emettendo obbligazioni garantite da questi attivi ad un tasso scontato rispetto ai Btp. O come quella dell’economista Paolo Savona, con la rimodulazione della scadenza di tutti i titoli pubblici a sette anni e una cedola commisurata al costo della vita con un’opzione per i detentori di negoziare un diritto di acquisto di pezzi del patrimonio pubblico.
FAVOREVOLI E CONTRARI
Il consenso al taglia-debito è bipartisan. Una proposta con un taglio di ben 400 miliardi del debito in cinque anni è stata presentata anche da Angelino Alfano e Renato Brunetta quando ancora facevano parte dello stesso partito. Mentre, recentemente, in Parlamento è stato depositato un progetto di legge firmato da una trentina di deputati del Pd sulla falsa riga del fondo patrimoniale. Ma se la proposta del taglia debito ha così vasto consenso, perché allora nessun governo l’ha mai effettuata? Innanzitutto perché il Tesoro è da sempre contrario.
Valorizzare il patrimonio pubblico non è semplice, e vendere gli immobili in una fase di crisi è ancora più complicato. Non solo, via XX settembre sostiene poi che i beni pubblici sono implicitamente una garanzie del debito italiano. Senza immobili, partecipazioni e magari l’oro di Bankitalia, gli acquirenti dei Btp chiederebbero tassi più elevati per sottoscrivere il debito. Senza contare, infine, che buona parte del debito italiano è nei forzieri delle banche.
Il rischio di una ristrutturazione, seppure attraverso i fondi taglia-debito, rischierebbe di intaccare i loro bilanci.