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 2014  agosto 17 Domenica calendario

QUANDO IL DISEGNO INDUSTRIALE È PIÙ FORTE DELLA SPECULAZIONE


Sarà stata la pioggia che ha gelato l’estate, con punte particolarmente bagnate intorno a ferragosto, ma sta di fatto che tanto sulle spiagge quanto a Piazza Affari di «clima balneare» se ne è visto ben poco.
Guerre e crisi economica non sono certamente andate in ferie, ma per gli operatori è stato soprattutto il nodo del recesso Fiat a tenere alta la tensione.
Non c’è dubbio infatti che la necessità di dover prendere una decisione entro il 20 agosto sul diritto di recesso dalla fusione tra Fiat e Chrysler abbia condizionato le vacanze tanto degli speculatori quanto dei cassettisti. Anche se la «storica» assemblea del primo agosto ha approvato a larghissima maggioranza la fusione (solo l’8% del capitale ha votato contro), il rischio che i recessi possano superare il tetto fissato dal Lingotto (500 milioni di euro) è rimasto a lungo sullo sfondo. Invece di valutare i vantaggi di lungo termine della fusione - universalmente considerata come una grande opportunità per il gruppo e suoi azionisti - alcuni analisti e soprattutto gli operatori più aggressivi come i gestori di hedge fund hanno alzato il tiro sugli aspetti finanziari e più speculativi, come appunto il diritto di recesso fissato a 7,727 euro sulla base dei calcoli stabiliti nel Codice civile. Con il titolo Fiat che quotava qualche centesimo in meno sul mercato, i piani strategici, l’integrazione della Chrysler, il trasferimento all’estero della sede, la nascita del nuovo Gruppo Fca e la quotazione a Wall Street sono stati fatti apparire come fattori marginali.
Il risultato è stato una vera e propria ondata di operazioni speculative sulle azioni del Lingotto: dai 7,25 euro del 31 luglio le azioni sono cadute a 6,48 euro l’8 agosto, per poi assestarsi sui 6,78 nei giorni seguenti. Gli speculatori - ma c’è chi dice anche le vendite a breve e allo scoperto effettuate da «mani amiche» dei grandi concorrenti della Fiat che temono la nascita del nuovo gruppo Fca - hanno cercato chiaramente di allontanare il più possibile il prezzo di mercato da quello del recesso in modo da incentivare la paura del recesso e costringere Marchionne e la famiglia Agnelli ad alzare il tetto oltre i 500 milioni. Scommessa sbagliata. Quando pochi giorni fa la Fiat ha escluso categoricamente l’ipotesi, il titolo ha riconquistato i 7,33 euro, portando a un modestissimo 5,41% la forbice con il valore di recesso.
Chi decide di recedere entro il 20 agosto, insomma, non solo ha ben poco da guadagnarci nell’immediato, ma rischia persino di dover pagare un prezzo maggiore se l’operazione di fusione - come tutto lascia pensare - andrà comunque in porto e i titoli del Lingotto ricominceranno a salire. È bene tenere presente, a questo proposito, non solo che il consenso degli analisti sul «fair value» vede un titolo Fiat quotato a 14 euro di qui a un anno, ma anche che il recupero di valore potrebbe essere persino maggiore (i consigli di vendere scattano oltre i 21 euro) se il management del Lingotto - come ha promesso agli analisti e agli investitori di Borsa - riuscirà a mettere a segno gli obiettivi di crescita dell’utile e dei ricavi previsti per il nuovo gruppo Fca e soprattutto i vantaggi derivanti dale sinergie di costo non ancora attuati anche per l’attuale configurazione del gruppo. Insomma, per quanto la logica speculativa abbia una sua razionalità per gli hedge fund, l’applicazione del mero calcolo finanziario immediato invece del ragionamento industriale di lungo periodo sarebbe un rischio per risparmiatori e cassettisti e soprattutto un grave danno alle possibilità di attuazione rapida del piano strategico con cui il management della Fiat intende conquistare un ruolo-chiave sul mercato globale dell’auto e sul più vasto riassetto del settore. Dal Brasile agli Usa, dalla Cina fino in Europa, Fiat oggi combatte testa a testa con i colossi tedeschi, francesi, americani e asiatici forte delle sue nuove dimensioni internazionali, dell’apporto della Ferrari e della Maserati nel segmento del lusso e soprattutto della capacità competitiva del marchio Chrysler, il cui acquisto ha cambiato numeri e percezione internazionale del gruppo Fiat. A questo proposito, è bene ricordare che il piano industriale della Fiat-Fca prevede una crescita delle vendite del 61% in cinque anni, un balzo superiore a quello dei concorrenti diretti.
Questo è ciò che ha promesso la Fiat agli investitori e ai dipendenti, questa è la scommessa che il mercato sembra avere accettato: chiamarsi fuori ora esercitando il recesso non porterebbe da nessuna parte, tanto più che in caso di fallimento della fusione (se il recesso eccede il tetto dei 500 milioni) la stessa Fiat ha già preannunciato l’intenzione di riproporre la stessa operazione in un secondo momento. Premesso che in borsa non si regala nulla e che la Fiat - come Marchionne ben sa - dovrà stare molto attenta a tener fede agli impegni presi e all’esecuzione delle strategie se vuole evitare brutte sorprese quando sarà quotata a Wall Street, è chiaro da quanto detto che l’esercizio del recesso sul piano Fca potrebbe far guadagnare qualche milione agli hedge fund, ma poco o niente al cassettista, se non confondergli le idee. Al contrario, se la fusione si concretizzerà con successo, l’attuale azionista Fiat si ritroverà in portafoglio azioni FCA in rapporto di 1 a 1: in pratica, per ogni azione Fiat posseduta verrà consegnata una azione della nuova società con valore nominale pari a 0,01 euro. Se l’azienda va bene nel medio-lungo periodo, il guadagno è altamente probabile: se va male, l’investitore (cassettista o professionista che sia) potrà sempre esercitare il diritto di vendere.
Un’ultima annotazione. Il mercato italiano, come è noto a tutti, è composto in larga misura da «cassettisti», cioè da piccoli investitori che decidono autonomamente se vendere un titolo o comprarlo. Ebbene, per il dizionario Treccani «Cassettista è chi tiene in locazione una cassetta di sicurezza in una banca o chi acquista titoli o valori mobiliari non per speculazione, ma come forma di investimento. Il cassettista è generalmente chi detiene titoli nel lungo periodo, contrariamente allo speculatore che opera in un’ottica a breve termine». Proprio quanto chiede la Fiat.