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 2014  agosto 14 Giovedì calendario

GIUSEPPE ROSSI: «NON SONO DI CRISTALLO, CONTE SI FIDI DI ME»

Pepito ha vissuto l’estate come più gli piace: da Giuseppe Rossi. Lontano dal suo doppio calcistico e dalle tensioni delle ultime ore passate a Coverciano. «Pepito è il soprannome che piace ai tifosi, ma nessuno dei miei amici lo userebbe mai, tanto meno mia madre o mia sorella. Loro mi chiamano Pepito quando hanno voglia di prendermi in giro». Quel nomignolo non ha portato neppure troppo bene, ma è inutile dirlo a Giuseppe, che ha cassato la parola sfortuna dal suo vocabolario. «Se voglio una cosa lavoro per ottenerla, mi hanno insegnato a fare così. E se ci sono delle difficoltà, cambio rotta. È quello che sto facendo adesso: fatico per cercare di arrivare al massimo all’inizio del campionato». Il precampionato è stato più che buono: sabato la Fiorentina conclude la sua estate a Varsavia sfidando il Real Madrid (ore 20,45, diretta Sky). Poi arriveranno le partite vere, la Nazionale e, magari, anche la verità cercata durante il Mondiale.
Come sono stati questi mesi?
«All’inizio avevo solo bisogno di andare via, di trovare tranquillità dopo la tensione e la frustrazione del finale di ritiro con la Nazionale. Avevo bisogno di divertirmi, di restare fuori dalla mia vita normale per un po’. Sono stato al mare alle Bahamas con la mia famiglia, poi sono tornato a casa e ho visto le partite dell’Italia e anche altre. Logico che abbia provato dispiacere per i miei compagni e per tutti quelli che lavorano per la squadra, e anche per l’eliminazione degli Stati Uniti. C’era tanta passione intorno al Team, avevano perfino inventato un coro, e i miei amici andavano al bar a vedere la partita con la maglia della nazionale americana addosso».
Lei invece pensava che non sarebbe rimasto a guardare. Vogliamo dire un’ultima parola su Prandelli?
«No. Non è più il caso di parlarne».
Dopo tutto il caos dell’elezione federale si torna a parlare del nuovo c.t.. Che cosa pensa dell’opzione Conte?
«Mi pare una grande candidatura. Sappiamo quello che ha fatto con la Juve, gli scudetti sono lì a parlare per lui. Conte tira fuori il meglio da ogni giocatore, è un vincente e questa è una cosa molto importante».
Sembra non sia un vincente Balotelli, che tante critiche ha ricevuto durante e dopo il Mondiale. C’è chi dice che non è giusto che la Nazionale abbia girato intorno a lui.
«Nessuna grande squadra deve ruotare intorno a un solo grande giocatore, ce ne vogliono venti per dividersi compiti e responsabilità. Questo continuare a dire che tutto dipende da lui lo intralcia, perché su Mario si sono concentrate responsabilità esagerate. Noi giocatori tendiamo a crearci da soli le pressioni e a caricarci anche pesi eccessivi sulle spalle. Però all’Italia serve uno come Balotelli, che ha il coraggio di prendersi sempre le responsabilità».
La prossima Nazionale potrebbe avere finalmente il suo marchio?
«Lo sento dire ogni volta che torno, ma io non ho mai sentito mia la Nazionale. La Nazionale italiana è di tanti, perché ha storia e talenti. È una delle squadre più importanti del mondo e nessuno può dire “è mia, sono io che ci metto il marchio”. Per quanto mi riguarda sono sempre contento quando posso esserci e credo che il mix di vecchi e nuovi che si sta creando sia positivo per il futuro».
Ha mai pensato di non tornare mai più in Nazionale?
«Mai. È un pensiero che non si addice alla mia mentalità. Io non mi arrendo».
Però ormai si discute sulla sua tenuta fisica, e pare che lei abbia bisogno di qualche riguardo, perché il ginocchio è di cristallo e giocare tutte le partite non le farebbe bene.
«Io non sono di cristallo, so che per essere al cento per cento devo fare lavori specifici e allenarmi più di altri, ma non voglio sentirmi limitato. Ho avuto tre infortuni gravi in pochi anni, è logico che ci sia qualcosa di diverso nelle mie articolazioni e nel lavoro che devo fare, ma questo non deve significare che non posso reggere novanta minuti o più partite in una settimana, altrimenti che senso avrebbe tutto quello che ho fatto? Se non potessi giocare troppo spesso non potrei nemmeno ambire a tornare in Nazionale. No, io non lavoro per questo. Lavoro per poter fare quello che fanno tutti i giocatori».
Sabato affrontate il Real Madrid, ci sarà aria di una Champions League alla quale neppure questa volta la Fiorentina potrà partecipare...
«Con tre posti a disposizione è dura arrivare in Champions. È stato difficile in questi anni e lo sarà anche nella prossima stagione, perché le squadre di vertice si sono rinforzate. Però ci proveremo sempre. Il problema è che se la Fiorentina giocasse in un altro campionato avrebbe già avuto due possibilità negli ultimi due anni, ma qui il quarto posto non è la stessa cosa».
Colpa magari di chi ha snobbato l’Europa League provocando uno scivolone nel ranking del continente.
«Può darsi che in passato qualcuno abbia preso l’Europa League alla leggera, ma noi non lo faremo di certo. Noi ci teniamo tanto, e l’anno scorso abbiamo avuto anche la sfortuna di trovare la Juve già agli ottavi, altrimenti chissà... Quanto alla partita con il Real Madrid, è superfluo dire che ci servirà da test finale visto che è l’ultima amichevole e proveremo a fare bella figura. Anche lontano dal Bernabeu, quelle contro il Madrid non sono mai serate normali. Mi ricordo che quando giocavo nel Villarreal ogni volta era come provare a prendere nove punti: le partite con Madrid e Barça valevano il triplo».
A proposito di Spagna e di campionati affascinanti: il calcio italiano è proprio brutto come noi stessi lo dipingiamo?
«Da un punto di vista tattico e tecnico, non direi proprio. La Juve l’anno scorso in Champions ha giocato a viso aperto contro il Real Madrid. Poi, è vero, c’è stato il Galatasaray, ma alla fine la Juve è arrivata quasi in fondo all’Europa League, che resta un trofeo importante. No, io non credo che la distanza fra le grandi squadre italiane e quelle europee sia tanta. A livello di gioco non sono preoccupato, è quello che c’è intorno che non va bene. In quel senso possiamo imparare da Spagna e Inghilterra».
Lei ha giocato in mezza Europa, ma è fondamentalmente americano. Ha portato qualcosa del suo essere americano nella Fiorentina?
«Sinceramente non ho mai pensato di trasmettere agli altri il mio modo di intendere il calcio e lo sport. Io lo vivo a modo mio, sono fatto così, ma nessuno è uguale a un altro. A me piace giocare e mi piace che la gente si diverta, e per vivere meglio i momenti importanti mi piace prendere spunti dai campioni di altri sport, tipo Federer e Kobe Bryant. Mi piace vedere come si preparano alle situazioni-chiave, cercare di capire cosa passa nelle loro teste, come fa Kobe a prendersi sempre la palla più pesante restando calmo e come fa Federer a tirare un ace all’incrocio in un match point. Questa capacità di esser imperturbabili mi incuriosisce».
Anche lei è un po’ così...
«Ci provo. Cerco di restare calmo e freddo, che poi è anche il modo per superare le difficoltà. Rifletti sul problema e, se serve, cambi strada».
Si può dire che dimostrare di non essere diverso dagli altri è il suo primo obiettivo per la prossima stagione?
«Non direi. Punto a raggiungere e mantenere una buona condizione, però dimostrare che non sono fisicamente fragile non è la mia missione. Perché se poi fai gol ogni domenica, le cose cambiano da sole, è una specie di effetto domino e le etichette si staccano da sole. Meglio pensare a giocar bene, aiutare la squadra e fare gol. Il campo parla e le verità vengono fuori con il tempo. Basta avere pazienza. Lavoro, e pazienza».
Giuseppe Rossi in questi anni è diventato uno specialista della pazienza .