Antonio Spampinato, Libero 17/8/2014, 17 agosto 2014
MA QUALE SPENDING ECCO LE PARTICIPATE CHE RENZI NON TAGLIA
L’economista Carlo Cottarelli ha ricevuto nel novembre del 2013 il mandato governativo (firmato da Letta) di tagliare gli sprechi e ridurre le inefficienze nella pubblica amministrazione. Lo scorso 7 agosto «Mister forbici» ha presentato il «Programma di razionalizzazione delle partecipate locali» dove sostiene sia possibile, oltre che auspicabile, tagliare il numero di municipalizzate dalle attuali 8.000 a 1.000 unità. Grazie a questo «sfoltimento» che avvicinerebbe l’Italia agli altri Paesi europei (in Francia, per esempio, le municipalizzate sono giusto un migliaio), le casse dello Stato risparmierebbero qualcosa come 2-3 miliardi all’anno, senza contare gli incassi una tantum derivanti dalle cessioni e i soldi risparmiati dai cittadini grazie alla riduzione delle inefficienze che intossicano anche questa branca della pubblica amministrazione. E tutto questo con le leggi già presenti nel codice, o l’aggiunta di qualche rapida disposizione. Insomma, basta volerlo fare. Anche perché molte di queste partecipate hanno i bilanci in profondo rosso. Come l’Atac di Roma o l’Asam di Milano, o ancora la società di trasporti Cotral, della regione Lazio, che perde 70mila euro al giorno. E, come scrive l’Espresso, non è neppure proprietaria dei pullman su cui viaggiano gli utenti.
Non è certo la prima volta che si cerca il modo di staccare dalla mammella pubblica questi carrozzoni spesso formati da scatole vuote ma dotati di costosi consigli di amministrazione. Ma finora nessuno è stato in grado di dare un taglio secco ai numerosi rami (e tronchi) secchi. Il governo Renzi saràingradooha la forza di farlo? O meglio, visti i recenti screzi con il commissario proprio alla vigilia della diffusione dello studio, è davvero interessato a farlo? Naturalmente questa crisi è un’occasione forse irripetibile, almeno da questo punto di vista. Si tratta di operazioni comunque delicate, visto il numero di dipendenti che rischiano il posto.
Le municipalizzate sono società di proprietà dei comuni, delle province e delle regioni finalizzate alla gestione diretta dei pubblici servizi. In realtà, compagnie inefficienti largamente utilizzate dalla politica per ricambiare favori attraverso consulenze e stipendi. Una relazione che certo non vale orizzontalmente per tutte le partecipazioni locali e verticalmente per tutti i dipendenti e consulenti, ma la diffusione del malcostume è tale per cui i critici hanno da sempre avuto buon gioco a fare di ogni erba un fascio.
Molte delle società municipalizzate sono necessarie: gestiscono ambiti lasciati liberi dalle aziende private perché non profittevoli o che potrebbero diventare economicamente interessanti solo se i beni e i servizi forniti fossero venduti a prezzi socialmente inaccettabili. Ma in tanti altri settori queste si sovrappongono o operano in comparti in cui il privato potrebbe fare, e meglio, il loro lavoro. Perciò per superare il problema il team guidato da Cottarelli propone di «circoscrivere il perimetro» in cui le partecipate pubbliche agiscono, vale a dire entro i paletti istituzionali dell’ente pubblico partecipante. Le municipalizzate non dovrebbero avere la possibilità di «produrre beni e servizi che il privato può offrire». E dovrebbe essere l’Autorità garante della Concorrenza e del mercato a fare da arbitro e giudice.
Non sono rari i casi in cui le partecipate ne posseggano altre, o in cui siano perennemente in perdita, o che siano di proprietà di piccoli comuni. Il team dei tagliatori propone dunque al governo di «limitare le partecipazioni indirette, le partecipazioni troppo piccole da poter essere considerate strategiche, le scatole vuote (partecipate con un numero bassissimo di dipendenti e fatturato, ma che comunque richiedono un apparato di amministrazione), partecipate in perdita prolungata, partecipate da piccoli comuni». In più è necessario accelerare in processo di chiusura delle partecipate già in liquidazione e prevedere «norme restrittive sulle fondazioni pubbliche». Inoltre se l’ente pubblico è in grado di fare il lavoro della partecipata, è inutile mantenere il doppione.
Seguendo questo schema, straordinariamente logico, è possibile tagliare e compattare le partecipate locali a un migliaio. E non è finita qui. Le superstiti dovranno imparare a essere efficienti e trasparenti, così da avvicinarsi al cittadino e spendere il giusto senza buttare via i soldi dei contribuenti.
Per fare questo è necessario: diffondere l’uso dei costi standard, aggregare le partecipate che offrono servizi simili, in particolare per il settore dei servizi pubblici locali a rete (acqua, gas, elettricità e rifiuti), pensare a una strategia ad hoc per il trasporto pubblico locale, cronicamente in rosso e poco efficiente, predisporre rigidi piani di rientro per le 20 società con le perdite più rilevanti, migliorare la gestione delle informazioni uniformando le banche dati e attivare indicatori di efficienza. E pensare «sanzioni, con responsabilità personali per gli amministratori dell’ente controllante e di quelli della partecipata, in caso di inadempienza rispetto agli obblighi fissati dalla normativa».