Cdf, il Fatto Quotidiano 17/8/2014, 17 agosto 2014
IL BAZOOKA DI DRAGHI CARICATO A SALVE DAI TEDESCHI
Parole, parole, parole, soltanto parole. Parafrasando Mina, grosso modo è questo che pensano le cancellerie europee del reale impegno della Banca centrale europea ad adottare le famose “misure non convenzionali”, evocate ancora una volta giovedì scorso. Eppure, da quel “Whatever it takes” - “faremo qualunque cosa” (per salvare l’euro, ndr) - pronunciato da Mario Draghi a fine luglio 2012 è di queste che l’eurozona si deve, per ora, accontentare. Il problema è che dopo la battuta d’arresto di Francia e Germania - fotografata dai pessimi dati del Pil nel secondo trimestre - e lo spettro deflazione ormai realtà, se le cose si mettessero male resta solo l’intervento di Francoforte. Quale? L’acquisto di titoli di Stato dei Paesi dell’area euro per sostenere politiche in disavanzo (in debito) a prezzi sostenibili. È il quantitative easing, quello che la Federal reserve americana, e in forme diverse le banche centrali di mezzo mondo fanno da tempo. Si inietta liquidità nel sistema. In Europa questo favorirebbe le tanto auspicate “politiche espansive” dopo anni di tagli alla spesa pubblica, compressione dei salari e aumenti d’imposte. In altre parole: di austerità. La Francia lo ha chiesto apertamente giovedì, il premier italiano ne ha discusso nel colloquio riservato con Draghi a Città della Pieve. Nulla da fare, la Germania non ne vuole sentir parlare : il presidente della Bundesbank, la Banca centrale tedesca, Jens Weidmann, ha ribadito a più riprese che Francoforte deve attenersi al suo ruolo di semplice controllore dell’inflazione.
COSA FARÀ LA BCE
A settembre, le banche europee riceveranno la prima tranche dei 400 miliardi di prestiti promessi a giugno da Draghi (le operazioni Tltro). Sulla carta quei soldi sono vincolati: vanno girati alle imprese che negli anni si sono viste erogare i prestiti con il contagocce. Ma c’è un però. L’Istituto di Francoforte sta conducendo l’analisi degli attivi delle banche europee che dall’autunno saranno sotto la sua supervisione (diretta per gli istituti più grandi, indiretta per gli altri). Che succede a quelle che non passeranno i test? Dovranno fare aumenti di capitale. La Bce ha già formalmente chiesto alle banche a rischio di cominciare a raccogliere capitali subito, per evitare un ingorgo in autunno. In pratica, non è detto che questa ennesima, pesante iniezione di liquidità a favore delle banche si trasformi automaticamente in una boccata d’ossigeno per le imprese. Tanto più che giovedì scorso Mario Draghi ha spiegato di voler attendere gli effetti di queste misure prima di valutare un intervento “straordinario”. Ma il processo è lento, e se le banche preferiranno tenere in pancia il denaro piuttosto che immetterlo nell’economia reale, i risultati saranno modesti.
COSA È STATO FATTO
Oltre a quanto detto e ad aver portato i tassi d’interesse vicini allo zero, due operazioni e una promessa: “Acquisteremo titoli di Stato sul mercato secondario” (le operazioni Omt, ndr). In parte lo ha già fatto. Nel maggio 2010 - con la bomba Grecia già esplosa - la Bce ha varato il Securities market programme: ha acquistato dagli intermediari (quindi non direttamente dagli Stati) titoli per oltre 200 miliardi (di cui la metà italiani ma anche spagnoli, greci, portoghesi e irlandesi) per frenare lo spread dei Paesi del Sud Europa. Senza la promessa di Draghi e le successive operazioni, però, non sarebbe bastato. Per aggirare i limiti imposti dallo Statuto, in due riprese (dicembre 2011 e febbraio 2012) Francoforte ha pompato mille miliardi nei bilanci delle banche prestandoli all’1% di interesse (prestiti Ltro). Con quei soldi - era l’accordo non scritto - gli istituti hanno acquistato titoli di Stato dei rispettivi Paesi, contribuendo ad abbassare i rendimenti. Per cittadini e imprese, però, non rimase nulla.
È SERVITO?
Come ha spiegato qualche giorno fa il Financial Times, solo “a spostare la crisi dalla periferia al centro dell’Eurozona. L’Italia è ripiombata nella recessione e la Francia è in stagnazione. Dal dicembre 2011, gli spread sono sensibilmente calati ma i nodi sono venuti al pettine. Le banche non si prestano i soldi e le imprese non riescono a finanziarsi. Ma la cosa più grave è che la Bce sta mostrando tutta la sua impotenza nel fronteggiare il rischio della deflazione, che erode i salari, comprime i consumi e aggrava le condizioni dei paesi debitori (tipo l’Italia), rispetto a quelli creditori (la Germania). A giugno, secondo Eurostat, l’inflazione è allo 0,4% (era 0,5 a giugno). Il mandato della Bce è tenerla poco sotto il 2%.