Marco Mensurati, la Repubblica 17/8/2014, 17 agosto 2014
SACCHI: «CONTE NON SI ILLUDA, PER ME FU PIU’ FACILE»
Antonio Conte, proprio come lei, è considerato un allenatore martello, uno da club, da lavoro quotidiano... Arrigo Sacchi non ha nemmeno bisogno di sentirla tutta la domanda. «Come farà? Farà. L’intelligenza non ha limiti. Ma non metterei sullo stesso piano il mio caso e il suo».
Perché?
«Perché io avevo una Federazione più forte politicamente e poi potevo contare sul blocco del Milan. Avevo gente come Mussi, Baresi, Costacurta, Maldini, Massaro, Donadoni, Evani, Tassotti. Mentre con gli stranieri di oggi non si può più contare sui “blocchi”».
Sono così importanti?
«Certo, perché da ct non hai il tempo. Però il ragionamento su Conte e l’Italia va impostato diversamente. Occorre partire dalla cultura».
Ok, partiamo dalla cultura.
«È risaputo che in Italia giochiamo all’”italiana”, il che non significa solo ci ammassiamo in difesa, ma anche che amiamo affidare tutto il resto nelle mani dei singoli e delle loro qualità. Che a volte ci sono, altre no. All’estero, invece, si gioca un calcio di collettivo, e il collettivo c’è sempre: non si infortuna, non va fuori forma. E poi sono tutti molto coerenti con i principi naturali di questo sport, che è nato come gioco d’attacco».
Non per noi.
«Da noi ci si difende, poi si spera nel genio di qualcuno. Questo vuol dire consegnarsi nelle mani dei grandi giocatori. Ma guardate cosa è successo negli ultimi otto anni. Ribery, Robben, Messi, Ronaldo, Rooney e Kakà hanno fatto una fatica del diavolo ad andare in finale. Conte dovrà far capire a una squadra e a un paese che se non si fa sistema, se ci si affida a un singolo non si va da nessuna parte».
Sta ancora parlando di calcio?
«Sto parlando dell’Italia. Da tutti i punti di vista. Prenda Renzi: è una speranza, ma è da folli pensare che potrà riuscire a fare tutto da solo. Nel calcio guardiamo a Conte. Lui magari ce la farà anche a vincere qualcosa. Ma non servirà a nulla se nel frattempo non sarà riuscito a cambiare la testa dei calciatori, e della gente. Farà la fine del mio Milan. Che è stato un lampo nel buio. Giocavamo il calcio migliore del mondo. Ma poi è tornato tutto come prima».
E perché?
«Siamo un popolo di impreparati cronici, facciamo squadra solo quando siamo in crisi. E non impariamo mai: abbiamo vinto un mondiale con Materazzi capocannoniere, ma non abbiamo capito».
Cosa?
«Che abbiamo vinto perché Lippi aveva costruito una squadra, un gruppo compatto: nessun Messi o Ronaldo potrà mai avere la forza di una squadra talmente “squadra” da avere Materazzi capocannoniere. Ronaldo e Messi vanno a sempre a casa. Un mondiale lo vinci solo se costruisci una squadra, un sistema, che poi è quello che deve fare Conte».
Ce la farà?
«Un giocatore ha tre modi per svolgere un esercizio: bene, benino o male. Il grande allenatore è quello che ha la sensibilità di accorgersi sempre di come un esercizio viene svolto, di individuare l’errore, di correggerlo. Antonio ce l’ha. È un direttore che in mezzo a 200 orchestrali sente se il colpo dei piatti è partito con un decimo di secondo di ritardo».
Qualche consiglio?
«Dovrà scegliere con cura i suoi uomini. Io convocai 95 giocatori. Mi dicevano che erano troppi: ma come — rispondevo — io sto cercando 22 uomini che diano il 110 per cento sempre, che siano generosi, seri, concentrati, insomma 22 eroi. E secondo voi in Italia ci sono 22 eroi ogni 95 persone? Sia se stesso, Antonio. E cresca in auto stima».
Auto stima? Non ne ha già abbastanza?
«No. Mi creda. Ne servirà parecchia per tirare dritto per la sua strada. All’estero fanno un gioco organizzato ma sono più bravi ad attaccare che a difendere. Tutti, Germania compresa. Il segreto è aggredirli, pressarli, costringerli a difendersi, a giocare scomodi. Del resto se li aspetti ti fanno a pezzi. Quindi: collocamenti preventivi, chiusure preventive, movimenti senza palla, squadra corta. Ma per farlo occorrerà cambiare la testa. Dei calciatori e non solo. E questo, alla fine, sarebbe la vera vittoria».