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 2014  agosto 17 Domenica calendario

20 LEGHE SOTTO I MARI

Glu, glu. A incontrar qualcuno, passeggiando là fuori, non sarete in grado di dire di più, lo vogliate o no. Il posto, per giunta, è un po’ umido, la luce diffusa e fioca. In compenso il clima è mite tutto l’anno e il panorama intorno mozza il fiato. Se siete un lupo di Wall Street, con portafogli conseguente, potete farci un pensierino: 300 metri quadri di villa, tre camere da letto, tre bagni, vista sulla barriera corallina, vanno per dieci milioni di dollari, più un milione per la messa in opera. Più o meno, l’equivalente di otto milioni di euro. E allora, ci potete pensare anche se, più modestamente, siete solo un presidente della Regione Lombardia, un po’ disinvolto: la villa di Formigoni in Sardegna vale cinque milioni di euro. Ed è una banalissima costruzione di mattoni che guarda la baia. Questa, invece, è una bolla trasparente, quindici metri sotto il mare, faccia a faccia con polipi e meduse: nessuno dei vostri amici ce l’ha. In verità, al momento, anche se siete un lupo di Wall Street o di Palazzo Lombardia, non potete averla neanche voi. L’idea di vivere sott’acqua attraversa da secoli il nostro immaginario: in fondo, non si è mai ben capito se gli abitanti della sommersa Atlantide vivessero sopra o sotto il pelo dell’acqua. Negli ultimi cinquant’anni, ci si è riusciti davvero, svariate decine di volte. Quasi sempre, però, per sperimentare condizioni particolari, come quelle delle spedizioni nello Spazio. O, comunque, per scopi scientifici. Battistrada, naturalmente, Jacques-Yves Cousteau. Il suo Précontinent fu posato sul fondo del mare poco più di cinquant’anni fa. Permetteva di vivere una settimana, respirando aria compressa, dentro un cilindro d’acciao battezzato con il nome di “Diogene”. Fate un salto di mezzo secolo e anche una persona debole di cuore può seguire le orme di Costeau. In nome della trivialità dei tempi, la scienza è scomparsa e sott’acqua ci si va per mangiare: una galleria trasparente di plexiglass, con tavoli e pavimenti di legno chiaro, dove gustare, fra lo svolazzare di una manta e le evoluzioni di uno squalo balena, un menù di sei portate di cucina europea, caviale compreso. È l’Ithaa, il “ristorante sotto il mare” del Conrad Hilton Hotel di Rangali, alle Maldive (1.400 dollari a notte). Ed è anche l’unica struttura di vita ordinaria sottomarina, sia pure di passaggio, attualmente esistente.
Ma, allora, la villa da trecento metri quadri in mezzo ai pesci-palla? Per ora, è solo un progetto. La Us Submarines, che l’ha disegnata, non ne ha costruita neanche una, ma la fattibilità tecnica è a portata di mano. La H2Ome, come l’hanno chiamata, ha tutti i servizi (riscaldamento, condizionatore, ventilazione ecc.) in superficie. Poi, immaginate una scala a chiocciola o un ascensore trasparente che scende fino dentro la casa, a quindici metri di profondità. Potrebbero essere anche 200 ma, oltre al fatto che a quella profondità c’è buio e quasi tutta la vita marina è concentrata nei primi dieci metri dalla superficie, ci sarebbero problemi di pressione. Ci sono, in realtà, anche a quindici metri. Uno dei punti chiave della H2Ome è, infatti, la pressurizzazione dell’ambiente, come su un aereo. Altrimenti, per andare su e giù, bisognerebbe ogni volta passare attraverso la procedura della decompressione.
Se la H2Ome aspetta commesse, il Poseidon Undersea Resort, alle Figi, sarebbe già in attività, non fosse, giurano i titolari, per via dei colpi di stato e degli intralci burocratici. Su Internet si può vedere l’animazione in 3D dell’hotel, con le stanze che si snodano sul fondo dell’oceano, a ridosso della barriera corallina dell’isola di Katafinga: legni chiari, mobili sobri e moderni, pareti trasparenti su un brulichio di vita sottomarina tropicale. L’albergo ancora non c’è, ma i prezzi sì: 12 mila euro per una settimana in suite.
Poseidon Resort e H2Ome sono solo due dei progetti di vita sottomarina che si vanno accumulando in questi ultimi anni. Quasi tutti gli altri, però, più che prevedere un vero e proprio trasferimento, presuppongono l’apertura come di una testa di ponte sott’acqua, con un costante via vai tra sopra e sotto, un po’ come nel “ristorante sotto il mare” delle Maldive. Il Water Discus Hotel, allo studio a Dubai, è composto da due dischi – uno sopra e uno sotto l’acqua – collegati da scala e ascensore. Rompendo l’isolamento, tuttavia, il sott’acqua si popolarizza, non è più terreno esclusivo degli straricchi, diventa una ipotesi di massa. Anzi, quasi una città. Il “waterscraper”, il “grattacqua” immaginato da Sarly Adre Bin Sarkum, è un grattacielo rovesciato, ma anche una entità urbana autosufficiente, adatta ad una Terra sovrappopolata (o semisommersa). All’aria c’è una piccola foresta a ricaricare ossigeno e, subito sotto, gli spazi per le colture idroponiche e l’allevamento degli animali. Come in un iceberg, il grosso è sott’acqua, tanti piani come di un grattacielo, dove la gente vive e lavora. Onde, vento, pannelli solari forniscono energia. Un complesso sistema di zavorre consente al “grattacqua” di rimanere dritto e di non rovesciarsi. In Olanda hanno fatto un passo in più e l’esotico sott’acqua si riduce a poco più un parco divertimenti con parcheggio annesso. L’idea è di svuotare i canali di Amsterdam, trasformarli in un garage a più piani, giusto sotto un po’ di discoteche, e poi far rifluire l’acqua, guadagnando spazio vitale alla città, al costo di quindici miliardi di dollari.
Forse, tanto fervore di idee è solo l’eccesso di fantasia e di smania pubblicitaria degli architetti. Oppure è il segno che l’umanità è sull’orlo di una nuova spinta colonizzatrice, finalmente nell’ultima regione inesplorata del pianeta. Ma, questa volta, senza traccia di eroismi e avventura. A scorrere i progetti, il dubbio che viene è, piuttosto, il “rischio Calabria”. E cioè che uno arriva a vedere la Grande Barriera Corallina australiana e scopre che la vista è bloccata da una schiera di villette sottomarine.