Pietro Del Re, la Repubblica 17/8/2014, 17 agosto 2014
LA LENTA AGONIA DEI TURCOMANNI
Sono chiamate disperate quelle che provengono dalla cittadina di Amerli, suppliche di aiuto di chi è prigioniero e vede avvicinarsi l’ombra della morte. L’ira jihadista sta per abbattersi su un’altra minoranza irachena mentre dalla Siria una ong diffonde la notizia di oltre 700 membri della tribù Chaitat sterminati dall’Is: dopo aver ucciso e stuprato centinaia di yazidi, in queste ore gli islamisti sunniti hanno cominciato a trucidare un altro popolo, anch’esso considerato apostata e ai loro occhi doppiamente colpevole, perché turcomanno e
perché sciita.
Proprio come accade da tre settimane all’antica minoranza yazida a Sinyar, nel nord-ovest dell’Iraq, anche i turcomanni sciiti sono ora assediati nelle loro terre, ma questi non possono fuggire in montagna, perché da giorni sono completamente accerchiati dagli islamisti. Stavolta, la regione presa di mira è quella di Amerli, 170 chilometri a sud-est di Erbil. «Continuano ad arrivarci richieste di soccorso e telefonate disperate da quella gente», dice Yassim Heso, comandante dei peshmerga che incontriamo a Erbil. «Ma le nostre forze non sono sufficienti a difendere quella zona, perché ormai contro i guerriglieri dello Stato islamico combattiamo lungo un fronte lungo più di mille chilometri e perché Amerli non rientra neanche nel territorio della provincia autonoma del Kurdistan».
I turcomanni circondati dalle milizie sono quarantamila, o forse più, e tra loro vi sono anche uomini armati, sia pure di vecchi kalashnikov, che non servono a granché contro le più potenti e sofisticate attrezzature di cui dispone lo Stato islamico. Soprattutto, gli abitanti di Amerli non riescono a rompere l’assedio, sono ormai a corto di tutto e tra di loro già si contano le prime vittime per disidratazione. I turcomanni presi in trappola chiedono armi moderne, mentre da un paio di giorni la zona è sorvolata dagli elicotteri del governo federale iracheno che lasciano cadere viveri e acqua, ma con lanci spesso imprecisi che finiscono nelle mani del nemico.
Dice ancora il comandante Heso: «Ogni giorno l’assedio si stringe, e presto noi saremo costretti a lasciare le nostre postazioni. Il giorno che ciò dovesse accadere, per i turcomanni ci sarà davvero da temere il peggio ». Intanto, per scongiurare il rischio imminente di altri massacri, si stanno mobilitando le organizzazioni umanitarie, a cominciare da quelle delle Nazioni Unite. Come spiega Marzio Babille, rappresentante dell’Unicef in Iraq, per estrarre la popolazione di Amerli si dovrebbe intervenire dal cielo, con gli elicotteri Chinook, per esempio, in grado di caricare anche una settantina di persone a viaggio. «Ma dobbiamo anche prevedere l’invio di personale specializzato in grado di aiutare i civili a sopravvivere all’assedio, in attesa che questo venga interrotto. Vorremmo anche organizzare un ponte aereo per estrarre gli ostaggi, anche se al momento non sapremmo dove parcheggiarli perché nella vicina Kirkuk ci sono troppi sunniti, i quali difficilmente accetterebbero l’arrivo di decine di migliaia di turcomanni sciiti». Lo scorso giugno, davanti all’avanzata jihadista nella piana di Ninive, nel nord dell’Iraq, molti turcomanni sciiti dovettero fuggire in fretta e furia, e si diressero ver-
so la regione a maggioranza sciita, nel meridione del Paese, in particolare nelle città di Karbala e Najaf.
Gli umanitari temono che il rincrudirsi dei combattimenti attorno ad Amerli crei enormi disagi per i più vulnerabili. Perciò il rappresentante dell’agenzia dell’Onu per l’infanzia sta chiedendo un intervento urgente per salvare almeno i bambini dalla regione assediata. Dice ancora Babille: «Ovviamente c’è chi sta studiando un’operazione militare, mentre io sto preparando un piano umanitario. Ma dobbiamo sbrigarci, perché non c’è un secondo da perdere. Con un intervento dei corpi speciali americani si potrebbe aprire un corridoio, ciò ci consentirebbe di evacuare via terra 8000 bambini dalla zona circondata».
Intanto, giungono sempre più numerose le drammatiche testimonianze di un altro massacro di yazidi, compiuto due giorni fa dagli islamisti a Socho, uno dei 17 villaggi che circondano Sinjar. Citando informazioni di intelligence e fonti locali, l’alto funzionario curdo Hoshyar Zebari ha raccontato dell’eccidio in cui 80 uomini sono stati prima raggruppati, poi falcidiati con una mitragliatrice pesante. Le loro donne sono invece state rapite e portate a Mosul, dove da quando sulla seconda città dell’Iraq sventola il vessillo dello Stato islamico è stato aperto un mercato per mettere all’asta questo tipo di bottino guerra e dove una “schiava sessuale” viene venduta per non più di 1200 dollari.
C’è infine un’altra minoranza vittima del terrore, l’etnia degli shebak di origine persiana, che vive, o meglio, viveva nella piana di Ninive prima che questa cadesse nelle mani degli islamisti. È giunta solo poche ore fa la notizia del ritrovamento di una fossa con centinaia di corpi shebak, per lo più donne, vecchi e bambini. I jihadisti non si sono neanche preoccupati di ricoprirla di terra, lasciandola così, come un monito per le altre minoranze o come il copyright della loro omicida follia.