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 2014  agosto 15 Venerdì calendario

A GIACARTA ADESSO COMANDA IL PALADINO DEI POVERI

Joko Widodo detto Jokowi non è un politico di professione, ma sa come parlare alle masse. Per questo ha vinto le difficili elezioni presidenziali dell’Indonesia con un margine (contestato ma roccioso) di oltre 8 milioni di voti contro un avversario navigato, temibile e dotato di larghi mezzi finanziari come l’ex generale Prabowo Subianto.
È la prima volta nella storia della recente democrazia di questo Arcipelago di 17mila isole, che un ex Signor Nessuno di 53 anni, cresciuto tra gli stenti, sconfigge il potere di un’élite familiare e militare. Un segno salutato con ottimismo da quanti sperano in una ulteriore apertura dei vertici politici alle esigenze delle popolazioni di tante regioni diverse che compongono il Paese islamico più popoloso del mondo. Nell’entusiasmo del momento, non c’è stato ancora tempo di pensare al problema della risicata presenza in Parlamento del partito di Jokowi, appena 109 seggi su 560.
Lo sfidante Prabowo era parte dichiarata della casta finora ben salda al potere, sposato con una figlia del dittatore Suharto che, nonostante il divorzio, ha fatto campagna per l’ex marito. Alla fine, per oscurare questo nuovo astro dell’Indonesia che gira in T-shirt e stringe la mano a tutti, non è bastato all’ex generale dai modi decisi il supporto dall’alto, né quello della classe media che non vedeva di buon occhio un kampung, pressappoco un burino dalla periferia, alla guida di 250 milioni di abitanti, senza esperienza se non quella di sindaco di Solo e di governatore della capitale Giacarta. Curriculum a parte, in campagna elettorale Prabowo e i suoi hanno incalzato a lungo perfino sul sospetto, pare infondato, che l’origine della famiglia di Jokowi sia cinese di Singapore, quindi non un vero musulmano. Per spuntare anche questa arma del nemico, al neopresidente è bastato andare in pellegrinaggio alla Mecca prima del voto, anche se dal palco dei comizi faceva suonare a tutto volume la sua amata musica hard rock, Metallica, Napalm death, Megadeth, («La Terra comincia a rombare, i Poteri del Mondo crollano... Un uomo pacifico si erge in alto. Alto, alto») ovvero tutto ciò che odiano i mullah fondamentalisti.
«Per me la democrazia è ascoltare la gente, e fare ciò che si aspettano da me» ha detto nella interviste dove non ha mai mancato di ripetere che il popolo poteva fidarsi del suo carattere forgiato nelle avversità dell’infanzia vissuta in provincia a Giava. A quel tempo non c’era nessuno a sentire i problemi della sua famiglia di piccoli commercianti del legno, cacciata più volte dalle baracche abusive lungo le rive del fiume che attraversa la sua Surakarta, o Solo come la chiamano per brevità i suoi attuali 500mila abitanti. La biografia narra che grazie alla sua intraprendenza, Jokowi mise su, dal misero business di famiglia, un piccolo impero di export del legname che valeva 1 milione e mezzo di dollari. Anche per questo fu eletto sindaco a furor di popolo e riconfermato cinque anni dopo con il 90 per cento dei consensi. I suoi modi alla mano, le camicie a quadrettoni e l’aria da bravo ragazzo hanno conquistato la simpatia di tutti, vedendolo girare negli scansafatiche, o nei suburbi della sua infanzia e nei mercati cittadini a chiedere consigli.
Quando un accumulo di bollette non pagate provocò il black out dei lampioni cittadini, Jokowi si mise alla testa di centinaia di residenti e giornalisti e andò a pagare di persona, portando negli uffici della società elettrica fasci di banconote di piccolo taglio frutto di una colletta. Uno stile pratico che ha esteso ai servizi sanitari, al traffico e al commercio, con la creazione di centri per i venditori locali tolti dalle strade per renderle più scorrevoli, e al piano di salvaguardia delle parti storiche della città contro l’invasione dei grandi magazzini. Fu così che ottenne la nomination alla gara di governatore della capitale Giacarta da parte del partito di Megawati Sukarnoputri, vincendo pure questa a man bassa. Dopo l’annuncio della sua corsa alla presidenza nazionale, i suoi critici fecero notare ovviamente che molti dei suoi progetti erano rimasti incompiuti, e che in ogni caso un conto è governare le città, un conto un Paese tanto frastagliato, con infiniti problemi economici e sociali da risolvere. «Cosa ci si può aspettare» dicevano i maligni «da uno che racconta barzellette da contadino e mangia zuppe di fagioli verdi e banane bollite a colazione?».
Jokowi ha risposto spesso con lo stesso senso dell’umorismo sbeffeggiato dai suoi detrattori, che preferivano il decisionismo macho e militaresco dell’avversario generale Subianto. «Pensano che io sia scheletrico e senza palle» ha detto Widodo in un comizio. «Ma dovrebbero conoscermi meglio». In un’altra occasione aggiunse: «Poiché sulla bilancia ho solo 54 chili, per quanto possa perdere peso sarà sempre un quinto di chilo». «Se una battuta del genere è incomprensibile per gli elettori urbani benestanti» ha commentato pochi giorni fa il Jakarta Post «la capiscono quelli della maggioranza povera che si arrabatta per mettere insieme due pasti al giorno».
Un altro punto a favore dell’ex bambino degli slum sono stati i suoi studi in scienze forestali grazie ai quali, nonostante si sia arricchito commerciando il legno, è diventato sensibile al problema dell’ambiente e della giungla pluviale, andata in fumo o tagliata al ritmo di 6 milioni di ettari in 12 anni. «Non c’è problema creato dall’uomo che gli uomini non possano risolvere» è stato il suo motto vincente. Per capire quanto sia stata dura la scalata ai vertici della nazione, basta pensare che la sua madrina politica Megawati, già presidente e figlia del primo presidente Sukarno, avrebbe voluto candidarsi al suo posto, salvo rendersi conto che gli elettori cercavano un outsider di carisma populista, e non una esponente della vecchia intellighenzia già compromessa col potere come lei.
Nel pieno dell’apoteosi, Jokowi è stato perfino dipinto come il nuovo Obama dell’Indonesia, e un suo libro di idee per il Paese paragonato all’autobiografia del presidente Usa Dreams from my father, i sogni di mio padre. È uno «che vuole vedere con i suoi occhi e risolvere i problemi con le sue mani», dicono di lui, dunque il paladino ideale della battaglia contro la corruzione imperante in Indonesia, anche sotto la gestione del presidente uscente Susilo Bambang Yudhoyono, che ha sostenuto in campagna elettorale l’avversario Subianto. Per darci un taglio, almeno a parole, Jokowi ha dato enfasi nel suo programma alla «governabilità elettronica», o e-governance, basata sulla trasparenza online dell’amministrazione. Ma i prossimi giorni e mesi saranno decisivi per vedere se l’ex venditore di mobili fatto da sé sarà davvero in grado di rimettere in sesto l’economia, eliminando i privilegi come promesso. È un compito immane per qualsiasi essere umano, e nella mente del «rocchettaro» Jokowi che li adora, potranno risuonare talvolta i versi di Symphony of Destruction: Prendi un uomo mortale. Mettilo al Controllo. Osservalo diventare un dio. Guarda le teste della gente rotolare, rotolare...
Raimondo Bultrini, il Venerdì di Repubblica 15/8/2014