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 2014  agosto 15 Venerdì calendario

AFRICA E COLONI SU MARTE IL FUTURO SECONDO GOOGLE (CHE ORA VUOLE LA PRIVACY)


Elon Musk, il geniale imprenditore delle auto elettriche Tesla e delle astronavi private SpaceX, illustra il suo progetto: portare l’uomo su Marte e creare lì una colonia stabile. Una via di fuga per l’umanità qualora le cose si mettessero male sulla Terra. «Sei sudafricano, perché anziché a trasferirci su Marte, non pensi ad aiutare quelli che nel nostro continente non riescono a sopravvivere?» Alla domanda che, al «camp» di Google in Sicilia, gli viene rivolta dal premio Nobel per la Pace Leymah Gbowee, l’attivista che col suo movimento ha dato un contributo decisivo alla fine della guerra civile in Liberia, Musk risponde che a spingerlo verso Marte non è un intento filantropico, ma il bisogno di scoprire cose nuove che lo ha sempre animato.
Scambio interessante, ma i progetti marziani di Mr. Tesla non sono una novità. Così come non è nuova l’idea del fondatore di Google, Larry Page (se ne è parlato durante gli incontri, lasciando perplessi i manager delle telecomunicazioni presenti) di coprire l’Africa con una rete di palloni aerostatici capace di garantire il collegamento wi-fi in tutto il Continente.
Agli ospiti – imprenditori, banchieri, scienziati, esponenti della società civile, artisti e anche alcuni giornalisti anglosassoni – invitati da Google, insieme alle loro famiglie, al Verdura Golf Resort di Sciacca a passare qualche giorno di relax e di conversazioni sugli scenari del futuro, è stato chiesto di mantenere un silenzio totale sul contenuto degli incontri.
A prima vista tanta riserbo sembra fuori luogo: il meeting siciliano è stato presentato come una piccola Davos, ma al forum economico svizzero gli eventi sono in gran parte pubblici e anche di quelli riservati si può dare conto se i relatori, come accade abbastanza di frequente, sciolgono i giornalisti ammessi alle sessioni dal vincolo della riservatezza. In fondo, stando ai tanti spifferi che circolano, nei meeting al Verdura sono state fatte analisi interessanti, ma nessuno ha rivelato segreti: il top manager di una casa farmaceutica si è detto convinto che entro dieci anni avremo cure efficaci contro il cancro, Fareed Zakaria, commentatore della Cnn , ha tenuto una lezione sul declino americano e un’altra sul ruolo della politica nello sviluppo dei mercati dei Paesi emergenti. Il capo di un grande gruppo tedesco ha parlato con una certa preoccupazione del futuro dell’Europa. L’amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, ha discusso di nuove formule finanziarie per aiutare chi ha accumulato abbastanza capitale umano ad uscire dalla povertà e di accesso digitale alla sanità nei Paesi più arretrati con Muhammad Yunus, l’economista e premio Nobel ideatore del moderno microcredito.
Un brivido lungo la schiena al presidente di Fiat-Chrysler, John Elkann, l’ha fatto correre Travis Kalanick, fondatore di Uber, quando ha sostenuto che l’auto diventerà come l’acqua corrente: non è tua, ma scorre dal rubinetto quando ce n’è bisogno. Lo stesso per le quattro ruote: ce ne sarà una pronta quando serve, comprarla non avrà più molto senso. Poi ci si è messo pure Larry Page: ha detto che anche la sua azienda, Google, entrerà in qualche modo nel business dell’auto ora che ha sviluppato – e ormai quasi perfezionati dopo diversi anni di collaudi - la vettura che si guida da sola. Ma anche questo l’avevano già capito in tanti.
Perché allora questi silenzi più da Bildenberg che da Davos? Verrebbe da criticare un’aristocrazia intellettuale e tecnologica che discute in segreto del futuro di tutti noi. Invece no: in fondo il fatto che Google abbia scelto questa formula è una buona notizia. L’azienda che, come Facebook e molte altre imprese del digitale, tenta da molto tempo di liberarsi dai vincoli della «privacy», adesso riscopre le virtù della discrezione. Eric Schmidt, che anni fa provò a liquidare i difensori del diritto alla riservatezza con una frase divenuta celebre («se non vuoi che quello che hai fatto diventi pubblico forse non avresti dovuto farlo»), oggi è il presidente dell’azienda che impone il silenzio ai suoi ospiti. Forse anche in Silicon Valley stanno comprendendo che il ricorso alla «privacy» non è una scelta di retroguardia né una manifestazione di oscurantismo, ma un esercizio di libertà.