Stefano Semeraro, La Stampa 15/8/2014, 15 agosto 2014
DALLA F1 AGLI ATLETI LOGO. QUANDO GIOCANO GLI SPONSOR
Attenzione, il vecchio concetto di Osvaldo Soriano, lo scrittore sudamericano che ha saputo trasformare il calcio in letteratura, va aggiornato. Ormai non si tratta più di capire se nel calcio è possibile pensare con i piedi, ma se il rischio non sia quello di scegliere leggendo la griffe sulla tomaia. Ascoltando, prima che la coscienza, la voce del padrone (economico). Lo sport con le questioni etiche ha sempre avuto molto a che fare, soprattutto per faccende di doping e di incontri truccati. Da quest’estate il calcio italiano ha iniziato a fare, e pesantemente, i conti con l’ingerenza reale o temuta degli interessi commerciali. Prima Sky che spedisce una lettera aperta per scoraggiare l’elezione di Carlo Tavecchio a presidente della Figc, mettendo sul piatto (inutilmente, si è visto) il peso dei suoi molti milioni di euro che permettono al pallone italico di tirare avanti, ora la Puma che agevola lo stesso Tavecchio nel compito di convincere il riluttante Conte a sedersi sulla panchina azzurra.
Il sospetto che un ct «firmato» possa finire per preferire un collega di marchio e fare le scarpe (ops) a un atleta diversamente sponsorizzato, ammettiamolo, a qualche malpensante potrebbe pure spuntare. Come venne in mente qualche anno fa al calciatore portoghese Sergio Conceiçao, quando Felipe Scolari, ex ct del Brasile e testimonial della Nike, venne chiamato ad allenare la nazionale lusitana. «Convocava sempre i suoi amici», sibilò velenosissimo Conceiçao. «Perché era sponsorizzato dalla Nike e fra un giocatore sotto contratto con la Nike e uno sotto contratto con l’Adidas, sceglieva sempre il primo».
Scoprire ora l’acqua calda, e cioé che nell’era dello sport business sono i dané delle aziende a fare girare il mondo, sarebbe però da ingenui. Basti pensare ai giocatori-immagine ingaggiati con l’occhio al marketing più che al modulo – quante magliette faceva e ancora fa vendere David Beckham ? - o ai piloti di F1, il cui stipendio viene pagato da sponsor munifici. E se Fernando Alonso, il cui onorario alla Ferrari è pagato anche dal Banco de Santander, di sicuro non ruba niente, per molti altri il sospetto, anzi la quasi certezza, è che scippino il posto a colleghi più meritevoli grazie alla valigia piena di dollari: ultimamente soprattutto petrodollari sudamericani e russi. Sarà un caso se la disastrata economia italiana non riesce a piazzare più un pilota sulla griglia?
Negli States il potere decisionale dei grandi marchi e dei network televisivi è enorme, e rendere il rugby uno sport professionistico e ricco è stato l’ingresso del creatore di Sky, Rupert Murdoch, a metà Anni 80. La Red Bull ha poi dimostrato con il suo impegno a largo raggio - dai motori alle discipline estreme – come la potenza di un marchio possa cambiare faccia a uno sport, reinventandolo dalle base e organizzandolo in base ai propri interessi. Anche le agenzie di scommesse – comprensibilmente dal loro punto di vista - puntano a controllare il mercato e in qualche caso per farlo hanno deciso letteralmente di comprarsi gli atleti: Gamebookers già negli Anni 90 acquistò direttamente il cartellino del cestista Vladimir Petrovic per girarlo alla squadra che preferiva, mentre ai mondiali di rugby del 2007 la irlandese Paddy Power convinse a forza di bigliettoni il tongano Epi Taione a ribattezzarsi con il nome della ditta. Gli influssi possono essere anche più soft: Adam Helfant, il penultimo presidente dell’Att, il sindacato dei giocatori che governa il circuito del tennis, prima di assumere la carica di presidente per 15 anni era stato un dirigente Nike e a lungo circolò l’idea che fosse stato scelto per compiacere due pupilli del marchio di Portland come Federer e Nadal, e di conseguenza anche il loro sponsor. È il business, ragazzi.