Tonia Mastrobuoni, La Stampa 15/8/2014, 15 agosto 2014
LA GERMANIA PAGA LA CRISI GLOBALE E IL PESO PREPONDERANTE DELL’EXPORT
È giusta la teoria di Mario Draghi, formulata una settimana fa, che i Paesi che hanno fatto le riforme vanno meglio di quelli che non le hanno fatte? Ieri l’Eurostat ha certificato che nel secondo trimestre l’area dell’euro non è cresciuta affatto, mentre l’Europa a 28 ha messo a segno uno 0,2% in più rispetto al periodo precedente. Ed è vero che il Pil del Portogallo o della Spagna – Paesi che sono passati attraverso rigorosi aggiustamenti dei conti e riforme ambiziose - hanno registrato aumenti del Pil dello 0,6%, mentre l’Italia e la Francia, rimproverati spesso perché ancora lenti, rispettivamente, sulle riforme o sulla correzione delle finanze pubbliche, sono rimasti al palo. La Francia ha registrato una crescita piatta e l’Italia un ritorno in recessione con il Pil negativo per il secondo trimestre consecutivo. Ma se la flebile ripresa si è inceppata, tra aprile e giugno, è soprattutto perché si è fermato il motore più potente, la Germania. E se c’è un Paese che corrisponde ai modelli decantati sempre dalle banche centrali, è quello di Angela Merkel.
La frenata tedesca
Berlino ha riformato anni fa il suo welfare tagliandolo pesantemente, dall’anno prossimo raggiungerà il pareggio di bilancio per la prima volta dagli Anni 60; inoltre sta cominciando – è notizia di ieri – a ridurre il suo debito. Ha ristrutturato in questi anni il suo sistema industriale, non ha mai sofferto dell’euro perché veniva già da una moneta forte, ha sempre praticato la moderazione salariale; insomma, per un banchiere centrale è indubbio che se c’è una prima della classe, è lei. Eppure, il suo motore si è ingolfato: nel secondo trimestre ha subito una flessione del Pil dello 0,2%. Complice, spiega la Bundesbank, un inverno mite che ha spinto gli investitori nel settore edile ad anticipare le spese al primo trimestre. Ed è sempre la banca centrale tedesca a tranquillizzare sul fatto che il recupero è in atto e che l’economia tedesca lo riaggancerà presto.
Export e austerità
La frenata, però, ha messo comunque a nudo le debolezze strutturali della prima economia europea, a cominciare dai suoi squilibri della bilancia commerciale un po’ sottovalutati da tutti, Commissione europea in testa (che potrebbe anche sanzionarli). La fragilità, cioè, di un modello fortemente basato sulle esportazioni che al moltiplicarsi delle tensioni all’estero – rallentamento della Cina, crisi in Russia e nel Medio Oriente e debolezza dell’eurozona – si è dovuta fermare. Ma uno dei problemi principali della Germania, concausa della cronica anemia della domanda interna, è l’ossessione per il rigore dei conti pubblici, imposto anche agli altri partner europei. Riassume Fausto Panunzi: «l’unico Paese che potrebbe permettersi di fare una politica espansiva è la Germania, ma non se lo concede. Facciamo un esempio: se gli Stati Uniti si fossero imposti il pareggio di bilancio durante la crisi, sicuramente il recupero sarebbe stato molto più lento e faticoso». I conti pubblici a posto, argomenta l’economista della Bocconi, «sono importanti, ma in alcuni momenti bisogna spendere molto più del dovuto per riavviare la domanda».
Gli esempi positivi
Sono due i Paesi della fascia “mediterranea”, quella più spesso additata per i conti in disordine o le riforme mancate, che invece si sono distinti nei mesi che vanno da aprile a giugno per un andamento del Pil positivo (+0,6%): Spagna e Portogallo.
Segno che dopo anni di disastrosa recessione e tassi di disoccupazione alle stelle, il rigore fiscale, la flessibilizzazione del mondo del lavoro, gli aumenti delle tasse stanno portando frutti? Panunzi è cauto: «io non vedo ancora prospettive di crescita durature; questi Paesi crescono dopo anni di crolli», insomma è ancora presto per dire se è un rimbalzo o una ripresa vera.
Gli ultimi della classe
Chi si è del tutto arenato, come la seconda e la terza economia europea, ha problemi non dissimili. La Francia ha vissuto una crescita piatta – non fosse stata per gli investimenti pubblici sarebbe stata negativa - ma il governo ha ammesso che nell’intero anno non supererà lo 0,5%; il riflesso pesante sarà quello sul deficit, che per ammissione del ministro delle Finanze Sapin supererà il 4% del Pil.
L’Italia, con il Pil in calo dello 0,2% è tornata ufficialmente in recessione. E da mesi aleggia una manovra bis per correggere i conti. Ad entrambi manca all’appello un traino fondamentale: la domanda interna. Sia in Italia sia in Francia i consumi languono e gli investimenti privati sono fermi. Secondo Panunzi, «al di là della necessità di andare avanti con le riforme strutturali, è necessario sfruttare i margini di flessibilità che concede il Patto di stabilità». La risposta, insomma, sono le riforme. Ma anche un Europa un po’ meno imbrigliata dall’austerità.