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 2014  agosto 14 Giovedì calendario

INTERVISTA A ELDA LANZA


Castelnuovo Scrivia (Alessandria), agosto
La chiamano la «signora del giallo italiano». Elda Lanza, classe 1924, dopo una straordinaria carriera tra giornali, televisione, comunicazione e politica (candidata sindaco di Minao per il Psi), ha cominciato a scrivere romanzi gialli che sono stati elogiati anche da Umberto Eco. Il primo, Niente lacrime per la signorina Olga (Salani 2012), è arrivato alla quarta edizione. Il secondo, Il matto affogato (2013), ha avuto analoga fortuna. Il terzo, Morire d’inverno, è di prossima uscita. Protagonista il commissario napoletano (poi avvocato) Max Gilardi.
«Tutte le cose che mi sono capitate nella vita non le ho cercate», dice. «Ma ho sempre avuto il desiderio di andare incontro al nuovo con coraggio e curiosità». Ha studiato alla Sorbona con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, ha fatto la giornalista, ha scritto romanzi ed è stata la prima conduttrice televisiva quando la Rai ha iniziato le trasmissioni sperimentali nel 1952. Per vent’anni ha curato e condotto programmi. Ora, a quasi 90 anni, c’è chi la definisce la «Camilleri in gonnella».
Una vita straordinaria, la sua. Ma lei è stata anche un po’ ribelle?
«Può dirlo, eccome. Erano rarissime le donne che facevano quello che ho potuto fare io. Ho passato sette anni all’università, ma senza laurearmi. Ho frequentato i corsi perché ero affascinata dalla filosofia. “Solo le donne brutte lo fanno”, mi diceva mia madre. Ho studiato con il grande Nicola Abbagnano, che ho adorato. E a Parigi ho seguito le lezioni di Sartre: non mi era simpatico, ma mi ha insegnato molto. Nella capitale francese ho incontrato la sua compagna, Simone de Beauvoir. Era da poco uscito il suo libro Il secondo sesso, pietra miliare per il movimento femminista. Ricordo che lei ci parlava con forza, aggressività, passione. Scuoteva dentro di noi delle corde che non sapevamo neppure di possedere. Ci dava forza. Io venivo da una famiglia in cui mi dicevano: “Taci tu, che sei femmina!” Ma Simone de Beauvoir mi aveva aperto la mente e il cuore. Così sono finita in tv a dire alle donne italiane: “Imparate a stare da sole se volete stare meglio in due!”. Incredibile, per l’epoca!».
Come è iniziata la sua avventura in tv?
«Dopo 14 provini, il direttore Sergio Pugliese mi scelse. Cercavano una ragazza spigliata, con una certa cultura, che sapesse parlare in modo appropriato. Ricordo che era tutto molto pionieristico. Ognuno, dal presentatore al regista, doveva imparare il mestiere dalle basi, nessuno aveva esperienza del mezzo e ci si aiutava a vicenda. Tutti facevano tutto, compreso spingere la telecamera. Le trasmissioni si pensavano, si costruivano, si provavano insieme. Io ero molto timida, ma davanti alla telecamera mi scatenavo. Ero convinta che la televisione fosse straordinaria, portava cultura, valori, il mondo intero nelle case degli italiani».
Avevate il sentore che la televisione avrebbe cambiato davvero il mondo?
«Certamente no. Nessuno di noi pensava che la televisione avrebbe influito così tanto sulla gente. Era una radio che si vedeva, tutto qui. Dopo il 1954, quando le trasmissioni sono ufficialmente iniziate sessant’anni fa, abbiamo intuito che fare tv poteva diventare una professione. Io conducevo la rubrica Vetrine. Si occupava un po’ di tutto: ricette, lavoro a maglia, moda, cinema, eccetera».
E quella di oggi, che televisione è?
«Una televisione che non mi piace. La televisione, si sa, costa e i soldi vengono dalla pubblicità. E quando la pubblicità comanda, evidentemente non ci sono più regole».
Come sono le conduttrici di oggi?
«Non mi piacciono quelle che basano tutto sulle misure 90-60-90. A noi veniva chiesto che cosa sapevamo fare e a nessuno è mai venuto in mente di prenderci le misure. In alcune figure femminili di oggi, però, mi rivedo. Daria Bignardi: colta, ironica, ma anche seria. Oppure Rita Dalla Chiesa. Anche Cristina Parodi, garbata e intelligente. Mi piace molto anche Caterina Balivo, ha una verve fantastica. Conduce una trasmissione simile a Vetrine, quella che facevo io».
Fra i personaggi con i quali ha lavorato in tv, quali sono stati i più importanti?
«Walter Chiari. Era un uomo spiritoso, timido e generosissimo in scena, cosa rara per un attore. Se capiva che tentennavo aveva la battuta, il gesto adatto che risolveva tutto. Ricordo Dario Fo. Era un ragazzo allegro che lavorava al Piccolo Teatro, quindi sapeva già stare in palcoscenico. Io venivo dal collegio, ero tutta posata ed educata e lui mi diceva: “Dai! Impara anche tu le parolacce! Quando ci vogliono, ci vogliono!”. Fo mi ha insegnato a ridere di me stessa. “Non ti prendere sul serio”, mi diceva “tanto non ti prende sul serio nessuno”. Ho adorato Lelio Luttazzi. Musicista, cantante, grande presentatore. Di una educazione e una gentilezza esemplari. Uno che aveva lo smoking nel sangue».
So che è stata molto amica di Giorgio Gaber.
«Eravamo come fratelli. Veniva spesso a casa nostra. Una sera, mentre facevamo una passeggiata, gli dissi che le strade col buio mi sembravano più grandi. Fu una frase che lo colpì e che, qualche tempo dopo, gli servì per quella bellissima canzone che è Le strade di notte».
E Sartre?
«Era nevrotico, con un mozzicone di sigaretta sempre in bocca. Mi ha insegnato a fumare. Le cose che diceva, però, eccitavano, colpivano».
Lei è sempre stata legata a Milano. Come trova che sia oggi la sua città?
«Non vivo più a Milano da parecchi anni, ma l’ho sempre nel cuore. È una città che non riconosco più, una Milano di botteghe e basta».
I suoi libri hanno successo, sono amati dalla gente. Ma perché ha scelto il giallo?
«Non sono mai stata una lettrice di gialli. Ho trascorso l’infanzia coi libri della biblioteca di mio nonno, un uomo coltissimo. Lui mai avrebbe accettato di comprare un libro giallo. Così, sono cresciuta senza nemmeno sapere che esistessero. Da grande, proprio perché “impostata” in quel modo, mai mi è venuto in mente di scegliere un giallo come lettura».
Com’è avvenuta, allora, la “vocazione”?
«Ero al mare a Mentone, a casa di un’amica. Suo figlio mi aveva regalato il mio primo computer portatile. Era il 1992. Ero seduta, con il mare davanti, e una grandissima voglia di scrivere. Di colpo, mi è venuto in mente il personaggio, la signorina Olga. Mi sono immaginata la storia e ho deciso di fare morire questa Olga a pagina due. Tutto il resto è venuto da sé».