Alessandro Barbera, La Stampa 14/8/2014, 14 agosto 2014
IL PREMIER RASSICURA FRANCOFORTE“AVANTI SPEDITI CON LE RIFORME”
Il mezzo di trasporto scelto non è di quelli che garantiscono il riserbo. Sul campo da calcio di Po’ Bandino, due passi da Chiusi, martedì mattina doveva allenarsi la Polisportiva locale. Improvvisamente il custode è stato raggiunto da una richiesta inaspettata: «Sgomberare l’impianto per una esercitazione militare». Di lì a poco è atterrato l’elicottero presidenziale con Matteo Renzi. Due auto lo hanno portato a Città della Pieve, nella casa di campagna di Mario Draghi.
Per i teorici del complotto la (quasi) coincidenza temporale con il 5 agosto di tre anni fa, il giorno in cui la Bce recapitò la ormai famosa lettera all’Italia è ghiotta. Ma i paragoni si fermano qui. Lo spread dell’Italia con i Bund tedeschi è stabilmente al di sotto dei 200 punti base, quasi un terzo di quello raggiunto allora. La maggioranza sulla quale può contare Renzi è solida. Se si fosse trattato di discutere di questioni gravi Draghi se ne sarebbe ben guardato dall’incontrarlo nella casa di campagna. Solo un incontro informale «per discutere di tutto», spiegano fonti governative.
E però la situazione dell’economia - italiana ed europea - resta difficile, le riforme italiane procedono a singhiozzo, e il clima di fiducia degli osservatori internazionali attorno al governo è peggiorata. Non solo: l’appuntamento al quale è atteso Renzi con la legge di Stabilità è delicato, perché dovrà avere la forza politica di imporre i tagli di spesa (nel 2015 ce ne vorranno di nuovi per almeno 12 miliardi) necessari a confermare il bonus fiscale e la riduzione dell’Irap. L’atterraggio rumoroso a Chiusi e l’aver confermato senza difficoltà l’incontro svelato dal Corriere dell’Umbria sono l’indizio significativo che il premier andava cercando un chiarimento: «Sì, l’ho visto, accade spesso». Per lui, dopo quello che nei giorni scorsi era apparso come un duro botta e risposta, c’erano ottime ragioni per farlo. Quando Draghi all’ultima riunione Bce si è mostrato preoccupato per lo stato delle riforme dell’Italia e nello stesso discorso ha citato la necessità di una «cessione di sovranità» dei Paesi dell’Eurozona all’Ue, quelle parole erano suonate a Roma come un avviso di commissariamento. Non è una mera questione di etichetta: per il governo di un Paese come l’Italia, con un debito pubblico così alto, non c’è niente di peggio che dare la sensazione di un rapporto difficile con il presidente (italiano) della Bce, unico organo influente nel complicato e (oggi) debole governo dell’Unione. «Andiamo avanti rapidamente con le riforme», è il messaggio recapitato da Renzi.
Draghi avrebbe comunque rassicurato il premier sul fatto che i due passaggi erano distinti, che il suo era un richiamo generico al processo di rafforzamento della governance europea. Il governatore Bce pensa che dopo i nuovi vincoli di bilancio sia venuto il tempo di dare a Bruxelles il potere di coordinare le riforme strutturali, dal mercato del lavoro alla burocrazia. Su questo punto Renzi avrebbe annuito, e che la questione sta nell’agenda del semestre di presidenza. La questione dovrebbe essere discussa nella riunione informale dei ministri dell’Economia prevista per metà settembre a Milano, e poi nei Consigli dei capi di governo di ottobre e dicembre.
Peccato che per l’Italia almeno per ora è già molto difficile rispettare i vincoli ai quali ci siamo liberamente sottoposti con la firma del Fiscal compact nel 2012. Palazzo Chigi e la Bce non lo confermano, ma è probabile che i due, durante la conversazione, abbiano parlato anche di questo. Se l’inflazione, entro certi limiti, aumenta i salari e i redditi in termini reali, alleggerendo il peso dei debiti, la spirale di deflazione nella quale l’Italia sta piombando agisce nella direzione opposta. Se il prodotto interno lordo nominale cala, i parametri del deficit, ma soprattutto quello del debito peggiorano. Su questo punto a Bruxelles è scattato l’allarme rosso: se le previsioni di inflazione zero saranno confermate, far valere le circostanze attenuanti sarà impossibile. Tutto questo mentre il quadro si complica: ieri il segretario del Partito socialista francese Cambadélis ha fatto sapere di considerare «inevitabile» per Parigi non tornare entro il 2015 al 3 per cento nel rapporto deficit-Pil mentre Weidmann, governatore della Bundesbank, ha ribadito il no ad un nuovo programma di acquisti di titoli sovrani come quello del 2011 in funzione antideflazionistica. Come al solito tutti attendono le mosse di Draghi, nella speranza che cavi d’impaccio una politica europea incapace di decidere.
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Alessandro Barbera, La Stampa 14/8/2014