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 2014  agosto 14 Giovedì calendario

IL PREMIER E IL BANCHIERE L’INCONTRO DELLA PACE “PIÙ TEMPO SUL DEFICIT”

ROMA.
È davanti a una tazzina di caffè che Mario Draghi e Matteo Renzi fanno pace dopo le scintille e le incomprensioni dello scorso week end. A fare da cornice la tenuta del presidente della Bce a Città della Pieve. La dolcezza della campagna umbra favorisce l’intesa tra l’uomo di Francoforte e il premier, tanto che dopo due ore e mezza di colloquio i due si salutano con un “Patto sulle riforme” in tasca.
Sono le nove di martedì mattina quando l’elicottero bianco della Presidenza del Consiglio con a bordo Renzi atterra nel campo di calcio di Po’ Bandino, a pochi chilometri da Chiusi. Il premier sale su un’auto blu e corre verso il casale di Draghi. L’incontro era stato fissato il giorno precedente. Ma l’arrivo del premier viene notato dai media locali, che rilanciano la notizia di un faccia a faccia che non voleva essere pubblicizzato. Tanto che dalla Banca centrale europea ci tengono a far sapere che Draghi e Renzi «hanno fatto un giro di orizzonte su tutti i temi europei di stretta attualità durante un incontro del tutto informale». In altre parole, «non è stata definita alcuna agenda economica per l’Italia », non si è trattato di un incontro emergenziale che possa far ricordare la lettera spedita a Berlusconi dalla Bce nella lunga estate degli spread del 2011. Confermava ieri lo stesso Renzi: «L’Italia non è un osservato speciale».
Prima il governatore e il presidente del Consiglio smontano la polemica nella quale erano caduti la scorsa settimana. Giovedì scorso il numero uno dell’Eurotower aveva rilanciato l’idea di una «cessione di sovranità» dei governi nazionali sulle riforme, da incorniciare in una governance europea come già avviene per i conti pubblici. Parole che, seppure rivolte a tutti i governi, a Roma sono state lette da molti come un ultimatum all’Italia, pronta a essere commissariata da Francoforte. Da qui la reazione di Renzi, che domenica aveva ribattuto: «Come fare le riforme lo decido io, non la Troika o la Bce». Il chiarimento è stato confermato ieri dallo stesso premier: «Con Draghi ci vediamo periodicamente, la stampa ha letto le sue parole in chiave negativa e quindi il mio “non ci facciamo commissariare” è sembrato una replica alla Bce, ma non era così».
A chiarimento avvenuto, Draghi e Renzi iniziano a sorseggiare una bevanda fresca e passano in rassegna i dossier economici dell’Unione. Un accenno al problema più pressante per entrambi, la bassa inflazione, se non deflazione, confermata proprio ieri in molti stati del Continente. «Per noi è un vero problema tenere sotto controllo il debito pubblico in deflazione », spiegava ieri Filippo Taddei, responsabile economico del Pd. Un problema chiaro a Draghi, che sente la pressione di chi gli chiede di inondare i mercati con un vero e proprio Quantitative Easing in stile Fed anche se ha appena varato un programma non convenzionale di finanziamento dell’economia (Ltro) che ancora deve dare i suoi frutti. Se ne riparlerà in autunno, quando l’Eurotower potrà valutare l’impatto del programma potenzialmente da 1000 miliardi e decidere se andare oltre.
Ma il cuore dell’incontro nella tenuta di Draghi è stato sulle riforme. Il presidente della Bce batte perché l’Unione abbia più poteri sulle riforme strutturali dei singoli stati in modo da rilanciare competitività e crescita dell’eurozona. «E la sponda dell’Italia, presidente di turno dell’Unione, può aiutare a scrivere la nuova governance europea», raccontavano ieri da Francoforte. Idea che in realtà non dispiace nemmeno al governo italiano, che proprio in queste ore sta mettendo a punto un piano da portare in Europa a settembre per accompagnare le riforme a maggiori margini di manovra sui conti pubblici. Renzi ha ribadito a Draghi la volontà di andare avanti nell’ammodernamento del Paese, assicurando che dopo l’estate il governo ripartirà alla grande. Poi ha spiegato il lavoro che sta portando avanti il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Le tappe fondamentali della strategia che il premier ha illustrato a Draghi sono l’Ecofin informale di Milano del 13 settembre, che sarà presieduto proprio da Padoan, e il Consiglio europeo di dicembre, l’ultimo di Renzi da presidente di turno dell’Ue. È lì, prima di Natale, che l’Italia spera di far lanciare ai leader la nuova governance. L’idea che il ministro dell’Economia illustrerà ai colleghi europei nel capoluogo lombardo è tutta incentrata sulla flessibilità. L’assunto è che non può essere la Commissione europea, istituzione che oggi a Roma viene considerata troppo tecnica, a dettare l’agenda economica dell’Unione. Devono essere i governi a farlo. A livello di ministri dell’Economia e di capi di governo. Devono essere loro, politici, a decidere l’agenda economica dell’Unione.
Da un lato far sì che siano gli Stati a coordinarsi e a darsi gli obiettivi (anche vincolanti) sulle riforme, il cui raggiungimento sarà vigilato da Bruxelles. Dall’altro dovranno arrivare quelli che Renzi e Padoan chiamano «incentivi» per chi le riforme le fa davvero. Ovvero «più tempo» nell’abbattimento del deficit e del debito, maggiori margini di manovra sui conti senza incappare nelle sanzioni Ue. La flessibilità, appunto.
Se l’obiettivo di dare una veste europea alle riforme viene condiviso da Renzi, Draghi e dalla stessa Merkel, le sfumature e dettagli non sono ancora del tutto pacifici. Ma Renzi e Draghi hanno deciso di andare avanti insieme nel progetto, almeno per quanto riguarda l’obiettivo finale: far fare un salto in avanti all’eurozona.
Alberto D’argenio, la Repubblica 14/8/2014