Roberta Zunini, L’Espresso 14/8/2014, 14 agosto 2014
ERDOGAN MA NON TROPPO
«Se verrò eletto non sarò un presidente imparziale», aveva promesso Recep Tayyip Erdogan nel suo ultimo comizio elettorale, prima dello storico voto di domenica scorsa. Come previsto da tutti i sondaggi, Erdogan è diventato il primo presidente della Repubblica turca eletto a suffragio universale diretto, ma con un solo punto percentuale più del necessario, il 51 per cento, per passare al primo turno.
A impedire quel voto plebiscitario tanto bramato dall’ex primo ministro, che in dodici anni di potere ha polarizzato la società turca come nessun altro, è stato il quarantenne avvocato curdo Selahattin Demirtas. Già leader del partito Bdp, Demirtas, candidato del neo partito per la democrazia popolare, Hdp, è riuscito ad arrivare quasi al 10 per cento grazie a un programma che mette assieme le istanze dei curdi, del movimento di Gezi park, dei gay e delle lesbiche, nonché dei sostenitori della sinistra laica progressista che avevano duramente criticato la scelta del partito repubblicano del popolo, il Chp erede della tradizione kemalista, di candidare, in coalizione con il partito nazionalista Mhp, non un laico bensì Ekmeleddin Ihsanoglu, noto solo come segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione islamica. Il tentativo di rubare voti a Erdogan, trasformatosi negli anni da rappresentante dell’islam politico ad aspirante leader musulmano tout court, con discorsi e modi dai toni sempre più autoritari e invettive contro la metà laica del Paese, attraverso l’oscuro e anziano studioso dell’islam, si è dimostrato fallimentare per i due maggiori partiti di opposizione. Che ora dovranno sopportare un presidente ben diverso da quello uscente: Abdullah Gul, cofondatore, assieme a Erdogan e all’ex imam Fethullah Gülen (in autoesilio negli Usa), del partito Giustizia e Sviluppo, Akp. Proprio a Gul, rimasto vicino a Gülen dopo la clamorosa rottura con Erdogan, guardano i membri e i sostenitori dell’Akp in disaccordo con il “sistema Erdogan” e i suoi metodi repressivi.
L’ex presidente potrebbe infatti fratturare l’Akp e costituire un nuovo partito con l’aiuto del “Servizio”, la potente rete di Gülen che include docenti, magistrati, giornalisti e ufficiali di polizia (la settimana scorsa sono iniziati i processi nei confronti di quanti erano stati arrestati con l’accusa di aver complottato contro Erdogan, per aver lanciato lo scorso dicembre un’inchiesta per corruzione che aveva portato in carcere i figli di alcuni ministri e imprenditori molto vicini al “sultano” e che aveva lambito addirittura il suo primogenito Bilal).
Lo scenario che si apre è quello di un Paese con un uomo solo al comando, che cercherà di cambiare la Costituzione per renderla una Repubblica presidenziale. Ad aiutarlo ci sarà probabilmente l’attuale ministro degli Esteri, il fedelissimo Ahmet Davutoglu, membro del suo partito, che ha molte chance di diventare premier.