Innocenzo Cipolletta, L’Espresso 14/8/2014, 14 agosto 2014
ALMENO SAPESSIMO CONTARE BENE IL PIL
Attesa dagli italiani, prevista dagli economisti, garantita dal governo, la ripresa economica in Italia delude tutti perché non c’è. Il Pil è sceso dello 0,2 per cento nel secondo trimestre del 2014, dopo il -0,1 per cento nel primo. Le speranze si erano accese nel quarto trimestre del 2013 quando, dopo ben nove trimestri di riduzioni, il Pil era cresciuto, seppure solo dello 0,1 per cento. «La recessione è finita», sentenziammo in molti. E invece, pare che non sia così. Con i dati ormai noti, è improbabile che il 2014 veda una variazione positiva del Pil.
LA MANCATA RIPRESA delude soprattutto il governo che vede complicarsi il quadro della finanza pubblica. Gli impegni presi in Europa si basano tutti su parametri statistici e il Pil ne è la base. L’Italia deve ridurre il rapporto tra disavanzo pubblico e Pil e tra debito pubblico e Pil. Ha già fatto grandi sacrifici, ma se il Pil non cresce o addirittura diminuisce, allora questi rapporti aumentano. L’aumento del Pil è determinante: una variazione del +3 per cento in valore, cosa normale prima della grande recessione, comporta da sola una riduzione pari a 60 miliardi di debito pubblico, quasi quanto ci chiede l’Europa. Ma se il Pil non cresce, allora dovremo veramente tagliare 60 miliardi l’anno di debito pubblico.
QUESTA È UNA VERA TRAPPOLA statistica, perché se il Pil non cresce, aumenta il disavanzo pubblico, dato che non aumentano gli incassi (le tasse pagate dai cittadini) mentre cresce la spesa pubblica a sostegno dei bisognosi. E se per avventura si volesse comunque cercare di rispettare i parametri europei con un Pil calante, allora cadremmo dalla padella nella brace. Infatti, se riducessimo le spese pubbliche e/o aumentassimo le tasse per ridurre comunque il deficit pubblico, avremmo un’ulteriore caduta del Pil che ci impedirebbe di rispettare i parametri e ci spingerebbe in una spirale recessiva.
PERCHÉ I PAESI europei si sono cacciati in questa trappola? La risposta sta nella mancanza di fiducia reciproca all’atto dell’adozione dell’euro. A sostituire la fiducia è stata elaborata una congerie di impegni su parametrici statistici che oggi costituiscono una vera trappola da cui è difficile uscire. Qualche speranza (poca) possiamo riporla nella nuova commissione europea che potrebbe favorire una interpretazione più realistica di questi impegni. Tanto più che la mancata ripresa non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa che, proprio per questa trappola statistica, sta finendo dentro una vera deflazione (recessione più caduta dei prezzi). Al punto che la Bundesbank ha sollecitato un aumento di almeno il 3 per cento dei salari, nella speranza di far ripartire la domanda interna in Germania e allontanare così il rischio deflazione. Una cosa inaudita, dato che mai una banca centrale, per di più tedesca, aveva avanzato simili propositi per risvegliar l’inflazione!
Ma poi, siamo così certi che la statistica, a cui abbiamo affidato ciecamente i nostri destini, riesca a cogliere bene quello che accade nell’economia? Qualche dubbio sta sorgendo perché non tutti gli indicatori sono concordi. In alcuni Paesi, tra cui il nostro, l’occupazione ha ripreso a crescere pur in assenza di una crescita del Pil. È così che sta avanzando la teoria degli “occupati senza crescita” (jobs growthless) mentre prima temevamo una “crescita senza occupazione” (growth jobless). In altre parole, non si riesce a capire come possa crescere l’occupazione in assenza di una crescita ben maggiore del Pil. Noi italiani, che siamo sempre pronti a denigrarci, abbiamo attribuito tutto alla caduta della nostra produttività (rapporto tra Pil e occupazione), mentre in altri Paesi dove avviene lo stesso si cerca di elaborare nuove teorie di comportamento.
E sicuramente gli economisti sapranno trovare una spiegazione a questo imprevisto fenomeno. Ma resta un dubbio: siamo noi in grado di rilevare bene la crescita in questi anni di fortissimi mutamenti tecnologici e comportamentali? Qualche dubbio esiste. Continuiamo a calcolare il Pil in base a misure fisiche di produzione (pesi, numeri, volumi, ecc.) mentre le imprese pensano piuttosto al valore di quello che vendono, modificando di continuo le loro produzioni che ormai sono dense di servizi, ben più difficili da valutare. Che dire poi delle vendite sulla rete di beni immateriali che assorbono parte del reddito disponibile dei consumatori e che sfuggono ai sistemi ordinari di rilevazione statistica?
NEL CORSO DEGLI ULTIMI ANNI abbiamo avuto una recessione lunga (almeno 7 anni) e profonda, accompagnata da modifiche tecnologiche e sociali consistenti. Sarebbe veramente strano se i sistemi di produzione e di consumo fossero rimasti gli stessi, ciò che rende difficile capire se questa stagnazione mondiale e italiana sia vera o sia il portato anche di carenze nei sistemi statistici che guardano a un passato che non c’è più. Intanto l’Eurostat ci viene in aiuto. Ha deliberato di rivalutare dal prossimo settembre il Pil di tutti i Paesi per tener conto delle attività illegali (prostituzione, droga e altro). E così finalmente anche le attività illegali daranno un contributo positivo ai nostri conti pubblici!