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 2014  agosto 14 Giovedì calendario

LA STRATEGIA DEL PREMIER: ASSE UE-USA CONTRO IL RIGORE


IL RETROSCENA
ROMA Tre giorni fa Barack Obama, poi Mario Draghi e ieri prima il Papa e poi, in serata a Castelporziano, l’incontro con Giorgio Napolitano. L’agosto col turbo di Matteo Renzi, che da oggi inizia un tour per l’Italia delle fabbriche che chiudono e dei fondi europei che non si spendono, prepara un settembre di fuoco. I «ragazzacci» che sono ora a palazzo Chigi, fanno sapere, senza aggiungere molto altro, di preparare per la ripresa autunnale quella serie di ”sorprese” - sotto forma di riforme - che Bruxelles chiede da tempo, che la Bce reclamò nel 2011 e che lo stesso inquilino del Quirinale, al secondo mandato, auspica e sollecita con discrezione da tempo.
LODI
Se non fosse una definizione un po’ logora, si potrebbe dire che Renzi a Draghi e Napolitano ha promesso «velocità» rinnovando le promesse di cinque mesi fa e portando, sia al presidente della Bce che al capo dello Stato, lo ”scalpo” di una riforma del Senato approvata in poche settimane come dimostrazione della determinazione del suo governo. Il tutto ammettendo, con Draghi, che all’inzio del suo mandato sperava di avere «qualche settimana di tranquillità» sul fronte economico. Tranquillità che non c’è stata, per colpa soprattutto delle crisi internazionali (Iraq, MO e Libia), come ha dimostrato il segno meno davanti al Pil. «Non una sottovalutazione», sostiene Renzi, perché ad andar male non è solo l’Italia, ma tutta l’Europa ferma se non in deflazione.
L’incontro con il presidente della Bce è ovviamente servito a Renzi anche per chiarire di persona «quel decido io cosa fare» affermato dal premier nell’intervista al Financial Times, quotidiano che ieri lodava le aperture di Renzi agli investitori esteri. Ma soprattutto il vis à vis di due ore nella campagna umbra è servito al presidente del Consiglio per capire cosa si agita nell’Eurotower e sino a che punto può spingersi, da presidente di turno dell’Unione, nel braccio di ferro con l’ala rigorista che a Berlino assedia - senza troppe proteste dell’interessata - la Cancelliera Angela Merkel. Tanto per fare un nome bastava leggere ieri su Le Monde le affermazioni del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann («un’Europa forte e un euro forte vanno di pari passo». «Dovremmo aspettare di vedere l’effetto prodotto» dai nuovi prestiti mirati della Bce alle banche che finanziano le imprese (T-Ltro) «prima di discutere la pertinenza di nuove azioni»), per comprendere come sia ancora molto ripida la strada per riportare la crescita al centro del dibattito dell’Unione e che i 330 miliardi promessi da Juncker rischiano di rimanere sulla carta. Di fatto il governatore della Bundesbank sembra mettere un freno all’uso di quelle «armi non convenzionali» promesse da Draghi per settembre e che dovrebbero permettere alle banche di ricevere denaro con l’obbligo di dirottarlo alle imprese.
Una salita che per l’Italia rischia di farsi ancor più irta - a colpi di reprimende, raccomandazioni e dichiarazioni qua e là di qualche ex commissario - vista l’insistenza con la quale Renzi reclama per la Mogherini la poltrona di lady Pesc e di vicepresidente dell’Unione. Richiesta che è frutto dell’intesa tra Renzi e Hollande e che è stato argomento affrontato dal premier italiano anche nel recente colloquio avuto con il presidente degli Stati Uniti. Ieri Renzi ha ricordato quel colloquio nel quale Obama ha condiviso le perplessità sulla linea economica seguita finora da Bruxelles. D’altra parte non è un mistero che il Tesoro Usa consideri il modello di crescita tedesco e la difesa strenua dell’Euro forte, il principale fattore della mancata crescita del Vecchio Continente. Renzi e Obama si incontreranno presto a Cardiff in occasione del vertice Nato e poi a fine settembre a New York, ma la costruzione di un fronte anti-tedesco sembra ormai nelle cose, viste le crescenti difficoltà della Francia ed di tutte le economie del G8, Giappone compreso.
TURBO
Renzi sa bene che prima di schierarsi da quella parte deve evitare di ripetere gli errori compiuti dal governo Berlusconi. Quindi, rapidamente, i «compiti a casa», per non vedere spuntare all’orizzonte nuovi sorrisini. Ovvero Jobs Act, Sblocca Italia, riforma della PA e della giustizia. Il tutto entro l’anno, senza riti concertativi con associazioni e rappresentanze di categoria e, soprattutto, pugno duro con le burocrazie ministeriali che all’ultimo momento riescono a sfilare dai ”pacchetti”, provvedimenti qua e là indigesti. Come è accaduto per il pensionamento dei professori universitari a 68 anni, annunciato e poi scomparso ai radar.