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 2014  agosto 14 Giovedì calendario

PRIMI MARINES TRA GLI YAZIDI PER PREPARARE I SOCCORSI GLI USA ALLARGANO LA MISSIONE


Altri soldati americani, altri aerei, quindi armi. L’operazione recupero per salvare 30 mila yazidi in Kurdistan entra in una nuova fase. E dopo i lanci di aiuti da parte dei velivoli angloamericani si lavora alla creazione del corridoio umanitario. Che va difeso dall’Isis. Con i raid aerei, rafforzando i curdi e con l’impiego (possibile) di forze terrestri Usa. Ecco la seconda parte del piano. Con Washington che scivola inesorabilmente verso un impegno sempre più ampio in Iraq.
Benjamin Rhodes, uno dei consiglieri per la sicurezza del presidente, non ha escluso che i militari americani siano schierati in Kurdistan per proteggere un ponte aereo per l’evacuazione dei civili dai monti curdi. Nell’intenzione della Casa Bianca non dovrebbero combattere i jihadisti, però è chiaro che il rischio di uno scontro diretto esiste. Se i mujahedin apriranno il fuoco, gli uomini del contingente americano dovranno reagire. E’ stato lo stesso Rhodes ad evocare questa possibilità.
Gli Stati Uniti hanno intanto inviato altri 130 militari, in gran parte marines e membri delle forze speciali, per valutare la crisi umanitaria e organizzare i soccorsi. Un incremento che porta a un migliaio il numero di «consiglieri» statunitensi in Iraq. Una piccola avanguardia di una ventina di forze speciali ha raggiunto, già ieri, a bordo di elicotteri, una vecchia base nella zona di Sinjar e nel giro di 24 ore ha condotto una prima stima del numero e delle condizioni dei profughi. Con loro un team di Sas britannici.
Secondo indiscrezioni il Pentagono sta valutando l’impiego di elicotteri e Osprey per evacuare parte dei fuggiaschi. Un grande ponte aereo in un teatro geografico difficile.
Tutto adesso all’esame del presidente, chiuso in un sentiero angusto. Vuole dare una mano ai curdi senza farsi invischiare — ancora una volta — nella guerra in Iraq. Missione, quasi, impossibile. I generali lo sanno: le sole incursioni aeree non possono piegare l’Isis. E anche gli equipaggiamenti annunciati per il Kurdistan non coprono tutte le esigenze.
In recenti contatti i curdi hanno inviato a Washington la lista della spesa: vogliono missili anti tank Javelin, visori notturni di ultima generazione, corazzati moderni, droni e persino sistemi per la difesa antiaerea. Una richiesta quest’ultima un poco sospetta, visto che l’Isis per il momento non dispone di velivoli. La Cia vedrà cosa fare, tenendo conto dei timori di Bagdad e di Ankara decisamente ostili a un Kurdistan super armato.
In attesa che la Casa Bianca deliberi, i curdi riceveranno materiale bellico importante dalla Francia — ieri c’è stato un annuncio ufficiale — e dalla Germania che ha promesso elmetti, apparati di comunicazione e veicoli blindati. Parigi non ha atteso eventuali decisioni dell’Unione Europea che dovrà affrontare la crisi nel corso di una riunione prevista per venerdì. Possibile che anche l’Italia segua l’esempio dell’Eliseo.
Molto attivi i britannici. Il premier David Cameron ha accorciato le vacanze in Portogallo per rientrare a Londra dove ha presieduto un vertice d’urgenza. Londra, che ha già partecipato alla prima fase dei soccorsi con un paio di C-130, ha annunciato di aver trasportato munizioni «dell’epoca sovietica» in Kurdistan. Quindi ha rischierato dei caccia Tornado a Cipro. Secondo la spiegazione ufficiale faranno ricognizione sul Kurdistan, ma è evidente che il profilo potrebbe cambiare in base alle esigenze. Imminente l’arrivo di alcuni elicotteri da trasporto Chinook, utili allo sgombero dei civili. Gli australiani, invece, hanno promesso due cargo C-130.
L’intervento è accompagnato da un’intensa attività di intelligence. Quella americana ha avvertito che l’Isis ha riadattato le tattiche e i movimenti nella speranza di ridurre l’impatto degli attacchi aerei. Un nemico molto mobile che combina la velocità dei pick-up armati con il potere di fuoco dei cannoni e lanciarazzi a lunga gittata.