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 2014  agosto 14 Giovedì calendario

LA PASSIONE DELLA SUA VITA DAL KOSOVO A BEIRUT IL PADRE: «SIAMO FIERI DI LUI»



ROMA — «Dateci il tempo di raccogliere le idee...». La voce femminile al citofono è gentile, ma ferma. La notizia della morte di Simone Camilli a Gaza è arrivata da pochi minuti a casa del giovane videoreporter romano dell’Associated Press. La famiglia è sconvolta, si organizza. Si prepara al lungo viaggio. «Partiamo subito e ci andiamo a riprendere Simone», spiega il padre Pier Luigi, sindaco di Pitigliano (Grosseto) ma già ex vice direttore della Tgr Rai e direttore della Scuola di giornalismo Sant’Orsola Benincasa di Napoli. Un collega del figlio. È lui il primo a scendere nel cortile del palazzo sulla circonvallazione Gianicolense per parlare con i giornalisti. Ha le lacrime agli occhi.
«Sono fiero di mio figlio - racconta -, aveva questo mestiere nel sangue. La settimana scorsa siamo stati in vacanza in Toscana, con la moglie olandese e la figlia di tre anni, una bambina bellissima (vivono a Beirut). Pochi giorni fa - ricorda ancora - l’ho sentito per telefono. Gli ho detto di stare attento, come sempre. Lui mi ha risposto: “Tranquillo papà, qui è tutto a posto”. Nessuno lo aveva mai costretto ad andare in zone di guerra, eppure ha girato il mondo, tutti posti pericolosi: Kosovo, Libano, Georgia. Non lo faceva per necessità, come capita a tanti giovani giornalisti, ma per passione, perché ci credeva davvero».
Su Facebook qualcuno ha aperto una pagina di solidarietà - «Comunità Simone Camilli» -: sull’homepage c’è la foto del reporter che riprende alcuni soldati che bivaccano sotto un ponte. La Rete è piena di immagini di Simone, ex studente del liceo scientifico Morgagni a Villa Pamphili: davanti alle rovine dei palazzi bombardati, affacciato al balcone di un edificio con le colonne di fumo come sfondo. «Io lo ricordo sempre con i capelli ricci e lo zainetto sulle spalle — racconta un vicino di casa —, anche adesso era così, le poche volte che tornava a casa».
La svolta nella sua vita è arrivata mentre frequentava l’università La Sapienza. Uno stage all’Ap. Era il 2005. Il suo primo servizio: assistere i fotografi dell’agenzia durante la malattia di papa Wojtyla. L’anno successivo, il trasferimento nella sede di Gerusalemme. «Aveva la passione per raccontare le storie della gente e voleva sempre essere dove c’era la notizia, voleva imparare ogni cosa ed essere il primo», racconta Maria Grazia Murru, senior producer di Ap a Roma, che aggiunge: «Mi mancheranno il suo entusiasmo, il suo accento romano e il suo sorriso». L’amica Diaa Hadid, sua collega in Israele, ricorda quanto fosse «caloroso, gentile, divertente. Fumava una sigaretta dietro l’altra, ma non trovava mai il suo accendino. Era sempre pronto per un’avventura». Aveva seguito le dimissioni di Benedetto XVI, coperto il naufragio della Costa Concordia, rischiato la vita in Siria e in Iraq per raccontare l’esodo dei profughi e l’avanzata dell’Isis. Najib Jobain, chief producer di Ap a Gaza, rivela: «Gli era stato chiesto se volesse tornare in Iraq o a Gaza. E lui ha risposto: “Andrò a Gaza”». La conosceva bene. Le aveva dedicato un documentario. E sempre con la telecamera in mano, ieri mattina, si è presentato nel campo di calcio di Beit Lahya per il suo ultimo servizio.