Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 13/8/2014, 13 agosto 2014
RENZI HA FATTO DELLE COSE BUONE
[Intervista a Marcello Sorgi]
Con una lunga e articolata carriera giornalistica alle spalle, come inviato e cronista parlamentare prima, e come direttore al Tg1 e a La Stampa poi, Marcello Sorgi, palermitano, classe 1955, è un osservatore attento e poco incline alle mode. I suoi interventi sul quotidiano torinese, di cui è rimasto editorialista, lo documentano.
Domanda.
Direttore, Matteo Renzi incassa politicamente un punto importante, l’approvazione in prima lettura della riforma al Senato, parla fieramente e duramente all’Europa con un’intervista al Financial Times, ma poi deve accusare il colpo di Moody’s, che stima un 2014 a crescita zero. L’economia sarà lo scoglio più duro per questo governo, per quanto il premier assicuri che non ci sarà una manovra correttiva?
Risposta. Credo che sicuramente il fronte economico sarà quello più importante e più difficile per il governo. Con quanta difficoltà non è facile dirlo.
D. Per quale motivo?
R. Perché il quadro sta mutando, per numerosi effetti internazionali, non ultimi i dati sulla crescita, rallentata, della Germania. Se anche la Locomotiva tedesca stenta è possibile che i termini del rigore della politica europea, che i tedeschi per primi considerano inderogabili, possano essere rivisti. E il presidente del consiglio, mi pare di capire, punta proprio a questo ripensamento generale.
D. Renzi scommette sulla revisione dell’austerità?
R. L’atteggiamento con cui si è presentato è: «Io faccio le riforme, voi mi date fiducia e mi fate fare gli investimenti necessari per realizzarle», vale a dire non considerare gli investimenti stessi nel calcolo dell’ormai famoso 3% di rapporto fra deficit e Pil.
D. Gli daranno fiducia?
R. Lui una prima promessa l’ha mantenuta, col voto dell’8 agosto.
D. Il primo passaggio di riforma del Senato...
R. Sì, un voto sul quale, per tutto luglio, nessuno scommetteva, ricordiamocelo. Non è ancora la riforma, ci vogliono minimo altre tre votazioni, ammesso che la Camera non cambi il testo. Ma quel passaggio è importante, anche se non ancora decisivo: su tutte le parti in cui ha votato, il Senato non tornerà a pronunciarsi: sulla non elettività, sui 100 membri, sui poter limitati.
D. È la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto...
R. E Renzi lo porta a casa con un voto bipartisan, seppure con inevitabili dissensi interni, e questo è un altro dato sui cui riflettere: negli ultimi 20 anni, centrosinistra e centrodestra avevano fatto le riforme costituzionali l’uno senza l’altro. Adesso però Renzi è atteso ad altre riforme, indispensabili a livello europeo.
D. A cominciare dal Jobs act...
R. Innanzitutto la riforma del lavoro, per la quale il governo ha chiesto delega. Ora si tratta di andare avanti nei tempi, spediti come per il Senato.
D. Già, invece, si registrano i prime problemi interni all’esecutivo: Angelino Alfano e Marianna Madia sono venuti ai ferri corti sull’articolo 18.
R. Sono state schermaglie politiche. Va da sé che il leader del Ncd non sia troppo felice del fatto che Silvio Berlusconi sia stato determinante nella riforma del Senato. Quanto al ministro Madia, sappiamo come, in passato, si sia ricreduta. La flessibilità nel lavoro è importante, perché gli imprenditori devono poter assumere ma anche poter chiudere i rapporti di lavoro con facilità, seppure con certe garanzie per i lavoratori. Ma c’è un’altra riforma che ha una proiezione internazionale importante.
D. E quale?
R. La riduzione della pressione fiscale. Nessun Paese ce la può fare con questo livello di tassazione. Nessun imprenditore, italiano o straniero, investe con la certezza che oltre la metà dei propri utili se li prenda lo Stato. Se Renzi riesce a tracciare queste riforme, il futuro per l’Italia può cambiare davvero.
D. Anche perché la situazione è piuttosto seria...
R. Bastano altri due trimestri di recessione e si può tornare al quadro dell’estate 2011, con gli spread che ripartono. Senza dimenticare la situazione internazionale, cui facevo riferimento prima: l’Iraq, l’Ucraina, l’embargo e contro-embargo occidentale verso la Russia e viceversa. C’è una possibilità di una nuova guerra a Baghdad e non solo di una passata aerea sui ribelli dell’Isis. Situazioni che condizioneranno tutto il quadro europeo ma noi, in questa fase, siamo più deboli.
D. Guardiamo il governo Renzi di questi primi mesi, accompagnati da molte polemiche. Quali errori ha fatto davvero il presidente del Consiglio? I troppi annunci? L’accentramento eccessivo e la conseguente debolezza dello staff? L’aver iniziato una guerra alla burocrazia che lo sta impantanando?
R. Secondo me sono più le cose che ha azzeccato, di quelle che ha sbagliato.
D. Ci dica una delle cose che non le è piaciuta.
R. Mi ha lasciato perplesso l’impatto europeo: Renzi ha portato in Europa lo stesso tipo di atteggiamento con cui ha conquistato il consenso in Italia.
D. S’è presentato come il Rottamatore anche a Bruxelles...
R. Lui si è convinto che sull’Europa gravi una cappa di tipo economico e che l’Unione soffra il peso di una burocrazia che deve essere strattonato, più o meno come è accaduto in Italia. Lo dimostra il modo in cui si è intestardito sulla candidatura di Federica Mogherini.
D. Perché?
R. Lui, di fronte alle critiche per l’inesperienza del nostro ministro nel ruolo di Alto commissario, ha fatto più o meno questo ragionamento: «Avete detto che tocca al Pse fare quella candidatura? Che spetta all’Italia? E ora volete scegliere voi?».
D. Regionamento sbagliato?
R. No ma visto con gli occhi di Bruxelles, di un mondo ciè avvezzo a regole non scritte, fatto di ex-premier ed ex- ministri, una sorta di club, per quel mondo, dicevo, non va bene. Quando uno entra in un circolo esclusivo, paga la tassa, sconta un periodo di diffidenza, si deve dimostrare fedele e comportarsi in con un certo stile. Renzi ha dato l’impressione di mettere i piedi in piatto e questo come presidente di turno. La cosa ha comportato la perdita di almeno due mesi.
D. Poteva fare diversamente?
R. Non gli si poteva chiedere di smentirsi in Europa, cioè candidando Massimo D’Alema ed Enrico Letta, entrambi perfetti, ma uno è stato, e a lungo, simbolo stesso della rottamazione, anche se ora i due hanno recuperato un rapporto. L’altro è il presidente del consiglio per il quale Renzi è andato da Giorgio Napolitano, dicendo che se ne doveva andare. Detto questo, il premier poteva avere un altro tono. Nella sostanza, comunque, resta l’unico leader europeo ad aver vinto alle elezioni di maggio.
D. Molti hanno insistito sulla questione dello staff debole_
R. Portarsi uno staff interamente fiorentino non lo ha aiutato a interloquire più che altro con la Roma politica e del sottopotere. Però io, che in questi anni qualche governo l’ho visto, non ho notato, nel passato, chissà quali strutture. Tolto l’esecutivo di Mario Monti, che era tipicamente universitario, tutti gli staff avevano sempre un elemento fiduciario molto forte. Semmai è vero il contrario.
D. E cioè?
R. C’è stata e c’è un resistenza di Roma all’avvento del «barbaro». «Chi si crede di essere?», si sente spesso dire. E io rispondo che è uno che ha avuto la fiducia di due camere. Non solo, ha ottenuto che uno dei due rami del Parlamento votasse la propria abolizione. E dopo la vittoria alle europee anche l’obiezione sul fatto che non sia stato eletto è sostanzialmente caduta. Per quanto ne so, poi, Renzi è uno «stufarello» come dicono a Roma, cioè si stanca presto di chi gli sta intorno: probabilmente lo staff lo vedremo cambiare nel tempo. Sono altri gli elementi per valutare Renzi, a mio avviso.
D. E quali?
R. Una misura da prendere in considerazione è quanto sia cambiato il rapporto con Napolitano.
D. All’inizio tutt’altro che facile: si dice che gli abbia cambiato almeno due ministri durante le consultazioni.
R. Ha voluto Pier Carlo Padoan e non solo. Diciamo che c’è stata una larga applicazione dell’articolo 92 della Costituzione, però il capo dello Stato oggi è la personalità politica con maggiore esperienza che c’è, ed è il primo presidente rieletto della storia repubblicana. E quando Renzi si presentò dicendogli che Letta doveva cadere, probabilmente non era d’accordo. Bene, ora i due hanno un’intesa perfetta.
D. Perché, secondo lei?
R. C’è fra loro il cemento della politica. Renzi è un leader politico, ruvido coi dissidenti e quel che volete, ma non è uno che si muove sempre e solo coi sondaggi. Si basa anche sul suo intuito e sul suo talento, come facevano altri leader della storia repubblicana. Lui ha un mandato e, finché il consenso dei propri elettori dura, va avanti e realizza il suo programma.
D. Ha riportato la politica al centro_
R. Un leader nuovissimo e vecchio insieme: non accadeva da 20 anni. Anzi la cifra di due decenni di berlusconismo e antiberlusconismo è stata proprio questa: l’incapacità di fare politica. Può darsi che non basti, ma...
D. Ma?
R. Se mi guardo attorno e vedo i cristiani perseguitati, la Siria, il conflitto fra Israele e Hamas a Gaza, l’Iraq prossimo a una nuova guerra, la crisi fra Ucraina e Russia, e allora mi dico che dobbiamo sperare che la politica ritorni a conquistare la scena.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 13/8/2014